Reindustrializzazione: risoluzione dell’Ue

Le ultime mattanze occupazionali registrate nel cuore dell’Europa, e cioè i 2500 esuberi di Caterpillar in Belgio e i 400 tagli annunciati da Alstom in Francia, con altri stabilimenti del gruppo a rischio chiusura in Italia e Spagna, hanno riacceso i riflettori sulla necessità di una nuova politica europea di reindustrializzazione.

Una risoluzione approvata dal Parlamento Ue in seduta plenaria, riafferma il fatto che “solo un’industria forte e una politica industriale orientata al futuro permetteranno all’Unione di far fronte alle varie sfide che l’attendono, tra cui la sua reindustrializzazione, la sua transizione verso la sostenibilità e la creazione di un’occupazione di qualità”.

L’Eurocamera chiede alla Commissione di avviare “una vera e propria strategia industriale europea di lungo termine” che permetta di conseguire l’obiettivo di garantire che il 20 per cento del prodotto interno lordo provenga dal settore industriale, come previsto da Europa 2020, ed esorta gli Stati membri a garantire “un’idonea protezione sociale e adeguate condizioni di lavoro, nonché una retribuzione che garantisca una vita dignitosa, o per via legislativa o mediante contratti collettivi, e ad assicurare una tutela efficace dal licenziamento senza giusta causa”.

La politica di reindustrializzazione dell’Unione europea, osservano i deputati europei “deve annoverare tra i suoi elementi fondamentali la riduzione degli oneri amministrativi e dei costi di adempimento che gravano sulle imprese e l’abrogazione delle norme superflue, continuando nel contempo a garantire elevati livelli di protezione dei consumatori, dei lavoratori, della salute e dell’ambiente”. Gli obiettivi dovranno essere chiari: efficienza energetica, risorse e clima. Gli investimenti dovrebbero orientarsi verso “la creatività, le competenze, l’innovazione e le tecnologie sostenibili, e promuovere la modernizzazione della base industriale europea attraverso una politica attenta alla catena del valore che includa le industrie di base e i loro attori regionali e locali”.

La relazione sottolinea che “molti anni di interventi a sostegno delle banche e dei mercati immobiliari dell’Ue non hanno avuto un impatto sui posti di lavoro né hanno migliorato le prospettive economiche”. L’intervento pubblico, allora, “dovrebbe essere riorientato, abbandonando l’eccessivo stimolo all’offerta per passare a politiche concertate mirate a stimolare la domanda, anche con misure fiscali e garanzie di aumenti salariali”. Strasburgo considera “cruciale” lo sviluppo delle competenze tecniche, “in particolare nel settore manifatturiero, come pure la necessità di promuovere l’importanza di personale tecnico qualificato”, e ritiene che “per sfruttare al massimo il potenziale occupazionale netto dell’economia verde sia fondamentale offrire agli attuali lavoratori opportunità adeguate per acquisire le nuove competenze richieste dall’economia circolare”.

La relazione invita tutte le autorità competenti a garantire la piena conformità con la normativa nazionale ed europea in materia di informazione e consultazione dei lavoratori da parte di tutti i soggetti in causa, in particolare in caso di ristrutturazioni, e a garantire la protezione dell’ambiente e la sicurezza sul lavoro, sottolineando la necessità che le imprese “rispettino i loro obblighi giuridici in conformità del diritto europeo e nazionale, privilegiando l’informazione e la consultazione dei lavoratori e la possibilità di esaminare le alternative proposte dalle parti sociali”.

Per il Parlamento Ue, una politica commerciale europea conforme ai suoi obiettivi industriali è “un elemento chiave per la parità di condizioni”, per garantire occupazione ed evitare nuove delocalizzazioni e ulteriori deindustrializzazioni. Occorre, però, “evitare che la politica commerciale dell’Ue promuova pratiche anticoncorrenziali, tra cui il dumping ambientale e, in particolare, il dumping di prodotti a basso costo e di qualità scadente, che mettono a rischio le norme europee e colpiscono le industrie stabilite nell’Ue”. La Commissione deve quindi “esaminare i meccanismi di adeguamento alle frontiere per garantire condizioni di parità nell’elaborazione delle politiche per realizzare la strategia Europa 2020 e quale mezzo per evitare il dumping ambientale, lo sfruttamento dei lavoratori e la concorrenza sleale”. Irrinunciabile anche una politica della concorrenza, come “elemento fondamentale per le aziende europee” esposte ai competitor mondiali.

L’invito da Palazzo Berlaymont, in questo senso, è a “prendere urgentemente il mercato mondiale come riferimento nella sua analisi per definire i mercati geografici, invece che limitare tale analisi ai mercati interni, consentendo in tal modo alle industrie europee di dare vita a partenariati di ricerca e sviluppo o ad alleanze strategiche”. Occorre allora una ristrutturazione delle grandi aziende manifatturiere europee “per consentire l’emergere di operatori economici con sufficiente massa critica per far fronte alla concorrenza internazionale”.

Alla Commissione, la relazione chiede anche di migliorare l’attuazione della normativa Ue in materia di appalti pubblici, ricordando che le norme comunitarie consentono di respingere le offerte anormalmente basse o in cui il valore sia realizzato per oltre il 50 per cento al di fuori dell’Unione europea. Appalti pubblici ed etichettatura ecologica, affermano gli eurodeputati, devono avere un ruolo importante da svolgere nella diffusione di prodotti, servizi e innovazioni sostenibili, e per questo serve “uno sforzo concertato da parte degli Stati membri e della Commissione per garantire che le amministrazioni aggiudicatrici basino le loro decisioni di appalto sul principio dell’offerta economicamente più vantaggiosa”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:21