Crediti deteriorati e colpe dei Governi

Il problema all’ordine del giorno è quello dei crediti deteriorati del sistema bancario (in particolare – meglio – delle grosse banche, che non hanno il controllo del territorio che hanno invece le medie banche).

Chi liquida la questione dicendo che i banchieri scontano così il fatto di aver finanziato “gli amici e gli amici degli amici” (come ha testualmente sostenuto una populista leader di partito di cui taccio il nome per carità di patria), o è in malafede – generalizzando irresponsabilmente una situazione che è eventualmente di singoli casi – o non sa quel che dice. I crediti deteriorati sono, infatti, in minima parte frutto di valutazioni sbagliate dei banchieri (pur sempre possibili, perché se fare i banchieri fosse un mestiere facile tutti lo farebbero). In gran parte sono frutto di una situazione economica che, nella sua gravità e durata, nessuno poteva prevedere e ha previsto.

In Italia, poi, le difficoltà in cui si trova attualmente il sistema bancario sono il risultato di una tassazione che ha ridotto i valori immobiliari (e in modo proporzionale, conseguentemente, le garanzie e i parametri patrimoniali degli istituti di credito) di 2mila miliardi, impoverendo gli italiani (secondo i calcoli di uno dei nostri maggiori economisti, Paolo Savona). Individuare le ragioni (ed i protagonisti) di tale perversa tassazione è anche individuare gli ambienti che, a proprio beneficio, hanno promosso e voluto la situazione della quale le banche sono oggi (insieme con gli investitori del settore) le prime vittime.

È dunque a tutti noto che a dare il via alla smodata (leggera, non s’è mai avuta, da ultimo) tassazione immobiliare, è stato in primo luogo il Governo Monti. Il pretesto fu che occorreva equiparare il peso della tassazione del settore in Italia a quella degli altri Paesi dell’Eurozona (Presidente del Consiglio) o dell’Ocse (ministero dell’Economia – professoressa Fabrizia Lapecorella), ma entrambe le tesi sono state dimostrate sbagliate o capziose, senza replica degli interessati (Domenico Guardabascio, Loana Jack, “Miti e realtà della tassazione degli immobili in Italia-Il confronto internazionale”). Osservatori indipendenti sostennero che l’obiettivo, piuttosto, era (ed è) quello della finanziarizzazione della proprietà immobiliare e quello che essa così appartenga a società dedicate, piuttosto che a persone fisiche. I Governi succedutisi a quello di Monti hanno peraltro ulteriormente aggravato l’imposizione sugli immobili, fatta eccezione per quello attuale (e di cui diremo). Ma la tesi – sostenuta dall’Ocse e dalla Commissione europea oltre che (nel Rapporto immobiliare 2015) dall’Agenzia delle entrate (nella quale è stata inglobata, com’è noto, quella del Territorio, ed i cui dirigenti di rilievo sono, com’è altrettanto noto, remunerati anche proporzionalmente al gettito procurato) – dicevamo, che la tassazione immobiliare non riguardi beni capitali (per i quali è accertato, ed accettato da tutti, che la loro tassazione è particolarmente dannosa alla crescita del Pil), sibbene beni di consumo durevole, questa tesi è altrettanto fallace – pur sostenuta da James Mirrlees – sulla base della considerazione che gli immobili generano un reddito annuo quasi permanente, da cui “consegue che la (loro) tassazione si ripercuote sul processo di accumulazione del capitale, analogamente a quella della tassazione degli altri risparmi e investimenti” (Francesco Forte, “Gli effetti negativi della tassazione del patrimonio immobiliare per la crescita economica - Una verifica empirica sui Paesi dell’Ocse 1965-2013”). E quanto, in particolare, all’attuale Governo, “sembra di capire che, abolendo la Tasi sull’abitazione principale goduta dal proprietario, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan abbia ammesso (come da dichiarazione dello stesso in un convegno a Salerno) che la tassazione immobiliare patrimoniale non è vantaggiosa in una politica fiscale orientata alla crescita economica” (F. Forte, ivi).

Per tirare le somme. Lo Stato continua, dunque, in una politica di tassazione degli immobili che ha creato, e mantiene, la crisi del settore, e ciò fa sulla base di tesi smentite dai fatti e prive di dignità scientifica, oltre che non condivise (per quanto sembra, perlomeno) ad autorevole livello governativo e della Pubblica amministrazione (che, comunque, non hanno smentito, convincentemente argomentando in contrario). Il sistema bancario, d’altra parte, ha sempre – giustamente e notoriamente – ravvisato negli immobili la garanzia patrimoniale più certa, non suscettibile di perdita di valore per inflazione o per cattiva gestione, com’è invece per i titoli mobiliari. E la crisi immobiliare, indotta (e tenuta in essere) – solo in Italia – da un’errata politica dei Governi da Monti in poi (compreso per questo aspetto l’attuale, che non ha – volendo o subendo – minimamente ricreato la fiducia nell’investimento immobiliare) rende difficile – sempre solo in Italia – la realizzazione delle garanzie bancarie, tradizionalmente costituite in gran parte da immobili.

La colpa, dunque, è veramente dei banchieri? O è forse, comunque, del mondo dei risparmiatori, come vorrebbe una bizzarra Europa, col suo (incostituzionale) bail-in? Il bail-out – c’è da chiedersi – non sarebbe di certo più coerente (com’è sempre stato) proprio perché le banche non sono monadi indipendenti dal clima in cui sono costrette a vivere, ma – al contrario – realtà condizionate (e guidate, anche, oltre che vigilate) dallo Stato? Né la fase epocale di arretramento dai propri obblighi che caratterizza attualmente (non solo in Italia) la realtà statuale come formatasi in epoca moderna, può giustificare – del resto – un comportamento che incide come nessun altro sulla fiducia dei risparmiatori, con tutto ciò che ne consegue (e ne è già conseguito).

(*) Presidente Assopopolari

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:24