Comunicazione ed espressione

Presentazione del mio nuovo libro, Ho vissuto la vita-Ho vissuto la morte, Editore Armando, appena pubblicato, un lettore dà voce a degli scritti, i quali sono varissimi, poesie, saggistica, teatro, narrazioni, cronaca, memorialistica. Mi accorgo, nell’udire, che il passaggio da brani comunicativi a momenti espressivi sconvolge totalmente la situazione e che se vi è massima differenza, più rassicurante il valore espressivo. Una esperienza conosciuta e che ho messo alla prova, il fondamentale passaggio alternativo da comunicazione ad espressione, ed è, anche, l’abisso grigio della nostra debilitazione culturale, la comunicazione prevale sull’espressione, anzi il peggio del peggiore peggio, ritenere che comunicare sia esprimere. Laddove sono differentissimi, il che non appare ad autori e lettori, oggi. Presso che l’intera tribù di poeti recenti è valutata perché incolonna il comporre. Un orrore basico.

Cos’è la comunicazione, con parole ma anche con segni? Un tragitto di conoscenza, quindi la comunicazione è alla sostanza informazione, il tratto cospicuo è l’informazione, cognitivo. L’espressione è conoscenza sensibilizzata, non si ferma al conoscere ma tende a far sentire, far sentire quel che dà a conoscenza, cognizione sensibile, se manca l’incarnazione nel sensibile non vi è espressione e se non vi è espressione non vi è l’arte, che è l’espressione per eccellenza, se contiene un elemento vitale, vivente, il sensibile, emozioni, passioni, rappresentazioni che oltrepassano contenendola la conoscenza. Teorie dialettiche al modo di Georg Wilhelm Friedrich Hegel che pongono la filosofia al vertice dei raggiungimenti dello Spirito Assoluto sono perniciose, rendono la comunicazione cognitiva superiore a quella espressiva emozionale, aridità della quale Hegel era cosciente, ma credeva inevitabile.

Mentre all’opposto, la filosofia dovrebbe chinarsi all’arte (fu il tentativo di Friedrich Wilhelm Nietzsche, e, meno saputo, di Karl Marx). L’arte supera la filosofia perché è completa, emozione e ragione, conoscenza e sensibilità, comunicazione e vita, controllo e irrazionalità, il che la fa inesauribile, non superabile dal tempo. Ecco il dato polare, l’inesauribilità, l’inconsumabilità, le emozioni vitali che contiene e suscita ridanno la vita che contiene e suscita. Quante volte abbiamo ascoltato la Sinfonia Incompiuta di Franz Schubert, cento, duemila? Ha esaurito l’efficacia espressiva emozionale? Tutt’altro, vorremmo riudirla. Piacere ama piacere! Leggiamo un testo dell’intelligente Aristotele, che meraviglia, da appassionarsi. Ma dopo averlo compreso esaurisce il valore! L’arte, al contrario, è sempre giovane, sorgiva fonte, esprime conoscenza animata da emozione, e con determinazione peculiare, se un personaggio, una situazione sono mesti devono provocare mestizia, se tetri tetraggine, se terrificanti terrore, espressione acconciata alla situazione, e parole, suoni, segni devono coniugare situazione ed espressione e nel mutare della situazione mutare espressione, il delirio colpevole di Otello che ha ucciso l’innocente Desdemona è ben altro che il dispiegato canto d’amore iniziale, fiduciosi, Otello proclamava amore per Desdemona, Desdemona per Otello, culminando in un abbraccio corpo animato di corpo. Lo spettatore vedente e udente percepisce immedesimato le emozioni comunicate quali emozioni non informazioni, cognizione emozionale differente secondo le situazioni.

La Gioia esplosiva, gridata, precipitata, scatenata, sormontativa di ogni negazione, sovrana su ogni dolore, una dialettica di superamento della antitesi interna alla Gioia, non la Gioia senza il dolore, che sarebbe propriamente la felicità, ma la Gioia sopra la testa tragica del dolore, a strapparle serpi dalla testa, la Nona Sinfonia di Ludwig van Beethoven schianta tutte le filosofie propositive, fa sentire la conquista della Gioia, fa sentire, il Fugato, concitato, che sbocca nel grido della volontà di gioire, questa è “realisticamente” la Gioia, sentita ed imposta da noi stessi in noi stessi, vogliamo gridare sentendola e vivendola accresciuta perché contiene e vince il dolore. La filosofia si vergogna, al paragone, o, se diventa sensibilizzante di tali antitesi, diventa arte.

 I filosofi greci ma anche induisti e romani per lunghi periodi non separarono arte da filosofia e religione, la mera comunicazione li inorridiva, perfino l’agricoltura, ignoravano l’inespressività, la ignoravano. L’arte, ripeto, è più completa della filosofia perché oltre al concettuale mantiene il sensibile. In passato fu causa di problematiche la stranezza dell’arte: non invecchia, tutto è sottomesso al tempo, non l’arte. Gli storicisti traballavano, come possibile che se ogni epoca confina in sé, l’arte sconfina e i millenni le scivolano senza rughe? Teorie ve ne furono, talune a chinare lo sguardo, perfino Marx, che doveva spiegare la storicità epocale delle manifestazioni ideali che l’arte invalida. Ma no, semplice, l’arte si impregna del sensibile (emozioni, passioni, anche la espressione della mancanza di emozioni è sensibile), non si ferma alla conoscenza, è conoscenza emozionalizzata, vita espressa che resta vita attingendo alla vita. Dicevo, se scrivo della gioia devo far sentire la gioia, espressione secondo quel che scrivo, o dipingo, o suono o altro che sia. Cadenza, parole, sillabe, concetti, situazioni ricreati. Inconcepibile tracciare al modo simile la gioia e la malinconia, per dire.

A meno che... A meno che non si intenda dare il senso di un piattume indifferenziato. In tal caso però occorre esprimere il piattume indifferenziato non illudersi che scrivere come tira la penna o batte il percussore della tastiera sia espressione, l’espressione del piattume non è essere piatti, l’opposto, esprimere, far sentire il piattume. Non essere piatti nel descrivere il mondo piatto, anzi, appunto, farlo sentire. Non è arte annoiare chi legge una rappresentazione della noia, l’opposto, interessare il lettore rappresentando la noia. L’equivoco della nostra epoca che può vulnerare l’arte (ossia la vita) è credere che l’inespressività sia espressiva dell’inespressività, per niente! Occorre essere espressivi per rendere l’inespressività! L’inespressività esige l’espressività dell’inespressività, non il come viene, va. Per questo ci limitiamo alla comunicazione, perché moltissimi ritengono la comunicazione come tira tira il modo corrente e lo mettono nell’arte.

Ma, insisto, annoiare scrivendo della noia, non dà la noia, non la fa percepire, piuttosto occorre interessare nel saper ripresentare esprimere un’epoca che comunica senza esprimere. Tentò l’impresa il poeta inglese Thomas Stearns Eliot. Ne fu cosciente. Anche Eugenio Ionesco, relativamente. Questione epocale. Esprimere una società ipercomunicativa iperinespressiva avendo la capacità di esprimere l’inespressività ma non di credere che essendo inespressivi si manifesti l’inespressivo o che l’espressione sia comunicazione e fine (il peggio del peggio pessimo). Franco Pilo, legge dal mio libro. “Qualche testo è deliberatamente ripetuto come motivo dominante. Il diario della mia esperienza ospedaliera è sparsa in episodi vari con immissioni di poesie, riflessioni, tra le vicende ospedaliere. Unirlo sarebbe stato isolarlo, così pervade il libro”. Ascolto la lettura, è comunicazione, solo comunicazione. Successivamente avverto un cambiamento, ascolto:

“Quando giungerai/ai confini del territorio/che la Natura stabilì/per la tua sorte/vedrai le estesissime diramazioni/del Nulla eterno/pensa/conquisterai l’unica immortalità/morire per sempre. /Ecco la sola certezza, /immoralmente morire. /Sigilla questo pensiero/ e quale notturno amante/tradiscilo avvincendoti alla Vita!”. È il testo che chiude il libro Non mi confino nella comunicazione. Sia che sia: viva l’espressione. Finché esisterà esisterà l’uomo umano.

Aggiornato il 19 dicembre 2022 alle ore 08:56