Jim Joseph Croce, l’ultimo menestrello

martedì 20 settembre 2022


You can’t mess around with Jim, non si scherza con Jim, è il titolo di uno dei brani di maggior successo di Jim Croce, il cantautore scomparso il 20 settembre di 49 anni fa. Nasce a Filadelfia da genitori italianiJames Albert Croce e Flora Mary Babusci – il 10 gennaio del 1943. Si laurea in filosofia (il primo della sua famiglia a studiare) e, prima di dedicarsi alla musica, è insegnante e segue bambini “speciali”. Si sposa con la cantante Ingrid Jacobson nel 1966, anno di uscita del loro primo disco come duo. L’album è stato finanziato come regalo di matrimonio della famiglia Croce, sperando in cuor loro che fosse un fallimento e che Jim si trovasse di nuovo un lavororispettabile”. Facets, il disco, vende ogni copia stampata.

Il duo comincia a suonare stabilmente nei locali un repertorio di cover e brani originali, finché nel 1968 non si trasferiscono a New York per registrare il secondo album, Jim & Ingrid Croce. I risultati non sono quelli sperati. Allora la coppia vende tutto ciò che ha, tranne una chitarra, per pagare l’affitto e torna in Pennsylvania. Da qui Jim accantona il sogno musicale e lavora come operaio, camionista e insegnante di musica. È la nascita del suo primogenito, Adrian James, a riaccendere in lui i sogni di gloria: spedisce una cassetta con le sue incisioni a New York, nella speranza di ricevere un contratto discografico. Nel 1972, con Ingrid che è diventata mamma a tempo pieno, firma un contratto da solista per la Abc Records, pubblicando You don’t mess around with Jim e Life and Times.

Finalmente, qualcosa comincia a muoversi. Con il suo amico Maury Muehleisen alla seconda chitarra Jim Croce inizia a girare gli Stati Uniti e l’Europa, esibendosi in locali e festival. Nell’arco di un anno e mezzo passa dall’aprire i concerti di altri musicisti a essere headliner, l’attrazione principale. In questo periodo si registrano anche le sue prime apparizioni sul piccolo schermo, tra cui il Tonight Show e The Midnight Special. Il 20 settembre del 1973, il giorno prima dell’uscita dell’album I got a name, Jim Croce è stato strappato dal suo sogno prematuramente. Il volo charter che avrebbe dovuto portare il cantautore, Muehleisen e altri membri del loro staff ad Austin non prende abbastanza quota e si schianta su un albero di pecan, l’unico nel raggio di centinaia di iarde intorno alla pista.

Le circostanze della morte di Croce assomigliano spaventosamente a quelle del collega Otis Redding, anche per la risonanza mediatica che ha avuto la sua scomparsa e il successo spaventoso dell’album postumo. I got a name diventa disco d’oro e i singoli Bad, bad Leroy Brown e Time in a bottle sono in cima alla Billboard hot 100 per due settimane, anche in Canada.

Jim Croce, l’ultimo menestrello vagabondo (dopo Woody Guthrie), consegna al mondo un lascito ricco di storie comuni – raccolte durante gli anni dei “lavori umili” – dove conosce i veri working class hero americani e ne racconta le gesta, tra rabbia e malinconia, creando un posto nella storia anche per gli ultimi. Le sue canzoni, oltre a essere ispirazione per cantautori del calibro di Bruce Springsteen, si insinuano nella cultura pop contemporanea. I brani più iconici di Croce si trovano nelle colonne sonore di Django Unchained, Logan, Stringer Things e molti altri.


di Edoardo Falzon