Ernesto Pescini, l’ultimo dominatore del mare

La pittura, quella vera, quella del nostro Ernesto Pescini è una forma di Magia e come tale chi la padroneggia, essendo come la Magia un’Arte, può dominare gli Elementi. In questo caso il regno elementale a essere governato, o lasciato libero se è il caso, è uno dei più potenti e difficili da dirigere, assieme al Fuoco, ed è quello delle Acque. Acque di mare, inarrestabili, irruenti, delicate e mai ferme sono le onde che compaiono sulle tele dipinte da Pescini, insieme con i cieli ad esse sovrastanti. Sono le acque del suo amato Galles e dell’Isola Verde che in esse si riflette. Distese equoree d’infiniti oceani che si estendono a perdita d’occhio, gli stessi abissi azzurri cantati nei propri versi da Charles Baudelaire, sognati da Jules Verne, e temuti da Edgar Allan Poe.

Sono i flutti agitati dove echi del battello ebbro di Arthur Rimbaud ritornano, tra colori algidi di vetro e di ghiaccio, verdi opaline che certo sono gli stessi riflessi che Pescini vede dal suo cottage affacciato proprio sul mare di Cornovaglia, su quello stesso specchio oceanico dove millenni fa s’inabissarono la perduta terra di Lyonesse e la dannata città di Ys, distrutta quest’ultima dalla concupiscenza della sua principessa per un diavolo errante. Sono le sue le onde che ricoprirono Atlantide in una sola notte e quelle primigenie abitate dal terribile Leviatano.

In controcorrente, è il caso di dirlo, l’opera pittorica ed ermetica di Ernesto Pescini si pone sul solco certo romantico dei grandi paesaggisti inglesi come William Turner e rievoca a tratti onde preraffaellite dove dimorano sirene e tritoni o ancora più semplici mari impressionisti, ma assumendo nel moto vorticoso di quelle risacche una eco leonardiana e quasi apocalittica che fa di lui un pittore del “diluvio”, astratto e naturalista, figurativo ed evanescente al tempo stesso così come sono l’aria e le nuvole, l’acqua e le onde. Rarefatto, lontano, avito e distante, questo italiano ingiustamente e immeritatamente ignorato nel proprio Paese ha trovato rifugio e dimora ideale là a Land’s End, ovvero dove la terra finisce, in quella Cornovaglia epica e arturiana, tra le nebbie marine e quelle magiche che ammantano, velandole, le antiche pietre fitte.

Schivo, sfuggente come forse un tempo lontano fu Merlino, rifuggente ogni banalità che troppo invece affligge tanti altri artisti contemporanei, Ernesto sogna le nubi che solcano il cielo di Gran Bretagna e i suoi mari che uniscono i mondi, parti di quell’Oceano del Tempo che soltanto i folli, gli eroi e gli innamorati osano attraversare. In quelle gelide acque che egli sempre dipinge, si possono intravedere gli spettri dei vascelli fantasma, della spedizione di Lord Franklin perduta tra i ghiacci o la barca cantata in Baidin Fheilimi e persino la ballata The Skye Boat Song ne può essere colonna sonora. È forse il suo anche il retaggio dell’esser nato sulle rive del lago di Como, lascito che Pescini si porta come un mantello sulle spalle quasi fosse un novello Prospero appena evocato dai versi de La Tempesta.

In quei flutti raggelati sulla tela, ancora di certo naviga, feroce e spietato, il Nautilus del Capitano Nemo, forse alla ricerca delle rovine ricoperte d’alghe della perduta R’Lyeh dalla quale riemergerà un giorno l’incubosa forma aptera di Cthulhu e del suo non fratello Dagon. Ma a differenza dell’immaginario liquido e notturno di Howard Phillips Lovecraft, i moti d’acqua dipinti da Ernesto lasciano aperto un varco odisseico verso l’avventura e lo stupore romantico. In quelle acque tumultuose, seppur con fatica e con la bravura del nocchiero si possono navigare e raggiungere le Isole Fortunate e una terra dove non sia mai inverno e tutti vivano felici. Pescini dipinge il suo mondo di spuma di mare con la perizia consumata d’un artista del Cinquecento ma con la forza romantica di uno dell’Ottocento, facendosi beffe di qualsiasi avanguardia e transavanguardia novecentesca in ogni sua onda che s’innalza e si piega su se stessa, come una amante sotto l’amplesso dell’amato.

L’elemento aereo è dunque il maschio che possiede l’acqua, sua compagna e sposa, in un matrimonio alchemico che sempre sfugge e sempre si rigenera, all’infinito dando consapevolmente, all’inconsapevole osservatore, un messaggio arcano fatto di simboli naturali e occulti. A noi, dunque, non resta altro che osare salire a bordo di uno di quei suoi fragili vascelli dipinti e far naufragio, volontario, da questa vita in un’altra fatta di splendore e sogno e avventura, come Gulliver.

(*) Tratto da Arte e Futuro

Aggiornato il 27 settembre 2021 alle ore 12:13