L’Anarca di Jünger e la libertà nella Natura

Una figura che può risultare interessante per molti libertari cattolici è quella del tedesco Ernst Jünger, scrittore e filosofo tedesco controverso, morto nel 1998 alla veneranda età di 103 anni. Figlio di una cattolica bavarese e un pastore protestante, Jünger fu un personaggio di spicco della cosiddetta Rivoluzione conservatrice, un movimento assai variegato che si sviluppò nella Germania del periodo interbellico (1918-1939) e che vide la genesi del nazionalsocialismo hitleriano da un lato, ma anche di movimenti liberal-conservatori dall’altro, che si opposero al nascente regime totalitario.

Jünger è certamente posizionabile in questi ultimi. Un aspetto molto interessante della sua produzione filosofica è la distinzione che egli fa tra l’anarca e l’anarchico, distinzione che compare in Eumeswil, l’ultimo grande romanzo dell’autore. L’anarchico – egli dice – è colui che si lascia ossessionare dal potere, che passa la sua intera esistenza nell’idea e nel terrore della lotta. Per questa ragione, l’anarchico non è davvero libero. L’anarca, al contrario, più radicalmente, è colui che è libero dagli uomini di potere, non solo nelle sue relazioni esterne, ma intimamente, nella libertà di spirito.

Il protagonista del romanzo è Martin Venator, professore di storia nella città-stato di Eumeswil, dominata dal tiranno Condor. Da questi, il protagonista, autentico anarca, è costretto a cambiare il nome – da Martin a Manuel – e la professione – di notte è obbligato dal governo a esercitare il mestiere di barman presso un locale. Nonostante queste violenze, Martin è autenticamente libero, perché, novello stoico, egli vive l’anarchia in maniera radicale, integrale, profonda. Egli non vive l’anarchismo da trincea. La sua libertà lo rende impassibile dinanzi ai soprusi del mondo esterno. Questo aspetto è profondamente cristiano: non è un caso forse che Venator sottolinea, sin dalle prime pagine del romanzo, che il suo nome Martin è un nome cristiano e militare al contempo (si pensi a san Martino di Tours, soldato romano, consacrato dal padre al dio della guerra Marte, poi convertitosi al cattolicesimo). Ma il combattimento di Venator è tutto diverso da quello convenzionale. Sebbene la città-stato di Eumeswil sia continuamente minacciata da misteriose ed estese potenze asiatiche, capeggiate dal Khan giallo, l’anarca ha conseguito già la propria vittoria interiore.

Nel romanzo ricorre un tòpos caro al nostro autore, che egli chiama significativamente in altre parti “il passaggio al bosco”. Martin Venator, infatti, inizia a costruire un rifugio segreto nei pressi della foresta che circonda la città. Questa operazione ricorda ancora una volta un tema cristiano, quello della “morte interiore”, il morire al mondo per rinascere in Dio, simboleggiata per eccellenza dalla sepoltura di Cristo. Venator infatti non avrà mai modo di utilizzare questo rifugio: la sua costruzione è già essa stessa espiazione. Affascinato dalla foresta e dall’ignoto che questa rappresenta, il Condor ordina a Martin e alla sua cerchia di esplorarla. “Martin, non ho mai dubitato che tu preferisci la foresta – così dice il maestro del protagonista, Vigo (molto probabilmente ispirato al celebre filosofo napoletano Giambattista Vico), nelle ultime pagine del romanzo – ma so anche che tu la guardi come un passaggio”.

La libertà dell’anarca dal potere degli uomini che si fanno dèi, dal potere del Condor, si compensa con un forte legame alla natura, depositaria di leggi profonde, difficili da conoscere, ma eterne e fondamentali. La fonte della morale non risiede nelle leggi degli Stati, ma nell’umida terra del rifugio. Questo insieme di fascino per la legge naturale e insurrezione per la legge positiva porterà l’autore, Ernst Jünger, a convertirsi al cattolicesimo nel 1996, circa due anni prima della morte. La conversione alla fede cattolica significa per Jünger l’ultimo stadio della battaglia, il ritorno alla madre, al principio, a quella terra umida da cui tutto ha inizio, alla legge intramontabile, interiore eppure oggettiva, dello spirito libero. Il cattolicesimo non è solo la religione dell’origine, ma è anche la fede della lotta, “fede marziale”, come testimonia la sua amicizia e frequentazione della famiglia tedesca e di confessione cattolico-romana Stauffenberg, sia prima che dopo la seconda guerra mondiale, nota al mondo perché un suo membro, il colonnello Claus, organizzò il celebre ma fallito attentato contro Hitler del luglio 1944, che costò violente rappresaglie verso le famiglie degli organizzatori.

Colpisce profondamente dunque la conversione dell’anarca alla religione cattolica: in essa, egli trova il milieu ideale della sua libertà integrale. Una libertà che non lo rende apatico e inerte, ma combattivo, guerriero, senza turbamento interiore. L’anarca è colui che riesce a trovare il sottile equilibrio tra un egoismo estremo che rischierebbe di trasformarlo in monade e il guerriero per la libertà che non riesce a vivere la pace del cuore, schiavo di un turbinio inarrestabile di emozioni e pensieri.

Aggiornato il 24 settembre 2021 alle ore 11:23