Uno sguardo al fantasy: antiche leggende delle Alpi orientali

Un tuffo nell’immaginario che ha ispirato film, libri sogni di tutti noi, bambini e adulti. Draghi, basilischi, serpenti volanti, giganti e selvaggi abitanti dei boschi erano figure, un tempo, comuni un po’ all’immaginario dell’intera Penisola. Oggi sono rimaste ben radicate soprattutto nel folclore altoatesino e trentino, luoghi che più degli altri sono riusciti a conservare, anche per ragioni di isolamento geografico, le tradizioni popolari.

A Bolzano, ad esempio, nel giorno del Corpus Domini si svolgeva una processione, al termine della quale, veniva distrutto in effigie un drago, emblema di malvagità. Non a caso San Giorgio è uno dei Santi più venerati di questa zona, come pure San Michele, simbolo della vittoria della luce sulle tenebre: in tutto il territorio di Bressanone numerosi sono i richiami a San Michele e alla sua cosmica lotta con il drago.

Nel Trentino, al termine della Val di Non, è situato l’antichissimo Paese di Mezzacorona, dominato un tempo da un imprendibile maniero che, nel XV secolo, passò ai Firmian. Secondo la tradizione, proprio un esponente di questa famiglia uccise un terribile Basilisco che aveva terrorizzato l’intera area. Si narra di un giovane eroe che riuscì che a eliminare l’essere mostruoso a colpi di lancia, ma fu contaminato dal sangue della fiera che lo condusse in breve, fra atroci dolori, alla morte. Ancora oggi, una delle grotte che dominano l’abitato si chiama “Tana del Basilisco” e un affresco che rappresentava il mostro era visibile fra i ruderi del castello.

Nel folclore della vasta regione geografica alpina, che comprende le provincie di Bolzano e di Trento, emergono altre figure diaboliche, come i Bis, serpenti alati dal veleno mortale e gli Aspi, strani incroci fra salamandre e pipistrelli. Altro mostro misteriosissimo e inquietante era il Barbaza che, secondo un’antica leggenda, viveva nei sotterranei del castello di Monte Albano, distrutto nel 1440 dalle truppe veneziane. La tipologia dei draghi e dei mostri del Trentino-Alto Adige rientra nella classica iconografia basso-medioevale, così ben studiata da Jurgis Baltrusaitis. Secondo l’illustre iconografo, le ali di chirottero e le creste di drago, poi applicate a serpenti, salamandre e demoni giunsero nell’Europa occidentale nel XIV secolo, importate dalla Cina e servirono a rappresentare il male sotto ogni aspetto. Prima di tali influenze, invece, angeli e demoni avevano sembianze simili.

Il primo caso d’intrusione di elementi orientali si ebbe col Salterio di Bianca di Castiglia, datato 1223, mentre, in Italia, fra i possibili esempi, ricordiamo il Trionfo della Morte di Buffalmacco nel Camposanto monumentale di Pisa e gli affreschi di Giotto della Basilica superiore d’Assisi. Tale tipologia si affermò prepotentemente nel Nord Europa: si pensi agli incubi che sorsero dal genio di Hieronymus Bosch, il grande pittore fiammingo che trovò un epigono, non meno celebre, in Bruegel il Vecchio.

Il Liber monstrorum de diversis generibus (VIII- IX secolo, autore anonimo) fra le numerose e orribili creature colloca una sorta di uomo selvatico, che vive allo stato ferino, ricoperto solo dal proprio vello. L’omo selvatico è comune nel folclore della Garfagnana e delle Apuane dove può acquistare sia connotazioni positive, che negative. In taluni luoghi, infatti, è una sorta di eremita che insegnò agli uomini l’arte della pastorizia; in altri è un essere oscuro e pericoloso che si aggira nelle selve più fitte, dalle quali emerge per rapire le fanciulle. A seconda dei casi l’uomo selvatico può essere ricoperto di foglie e frasche o di pelli di animali. Per alcuni, il suo abbigliamento rappresenterebbe le diverse stagioni dell’anno.

Non lontano da Bressanone troviamo il castello di Rodengo, costruito nel XII secolo, ove sono stati rinvenuti diversi anni fa dei bellissimi affreschi, che narrano le vicende del cavaliere Ivano. Uno dei riquadri illustra l’incontro dell’eroe con un uomo dei boschi. Si tratta di un essere dall’aspetto mostruoso, con la barba ispida e incolta e una gran massa di capelli fulvi; la bocca e gli occhi sono ferini, mentre sul corpo, completamente nudo, si evidenziano ingenti masse muscolari che denunciano tutta la forza del soggetto. Egli brandisce una clava nodosa, ma non ha un atteggiamento ostile nei confronti del cavaliere, che incede nella valle, protetto dalla sua splendida armatura. Anzi, gli indica la via che porta ad una fonte fatata. È evidente che, in questo caso, l’uomo selvatico risponde ad una precisa funzione iniziatica. Un incontro dovuto, una prova, al pari di mostri, incantesimi, illusioni, che l’eroe dovrà affrontare per portare a termine la sua formazione.

La saga di Ivano, nell’orizzonte degli archetipi medioevali, associa alla foresta minacciosa e oscura, la presenza forze spaventose e sovrannaturali, con le quali dovrà confrontarsi per acquisire consapevolezza di sé e della propria virtù: il cavaliere, in altre parole, deve superare la paura per essere consacrato ai valori precipui del proprio status. In Valle Aurina avrebbero dimorato uomini colossali, le spoglie dei quali sarebbero state poi sepolte vicino alla chiesa di san Pietro, mentre un altro gigante, di nome Aunoldo, sarebbe vissuto nei boschi di San Candido. Egli avrebbe aiutato i monaci a costruire la famosa abbazia e quando la morte lo avrebbe colto, i religiosi avrebbero affidato le sue spoglie mortali alla terra consacrata del convento. Nella chiesa, si vede, ancora oggi una gran costola che la leggenda vuole sia giunta al convento nel 1630, portata, probabilmente, dalla lontana Terra Santa.

Le leggende sui giganti sono comuni in tutte le terre alpine e si ripetono al di là della vasta catena montuosa, in Tirolo e in Carinzia ove uomini di proporzioni colossali avrebbero costruito edifici religiosi, o liberato i valligiani, da mostri e draghi di ogni sorta. Celebre è la storia di Aimone, un gigante che abitava vicino alle sorgenti del Reno, questi si sarebbe scontrato con un suo simile, di nome Tirso, che abitava la valle dell’Inn, uccidendolo. La cosa non piacque agli abitanti della zona che costrinsero Aimone a riparare al proprio misfatto, affrontando un mostro che imperversava nella zona. Aimone, con coraggio, combatté contro quell’essere terribile, uccidendolo. In seguito, egli avrebbe aiutato i religiosi a costruire il bel monastero di Wilten, tanto che, sulla facciata della chiesa, risalente al XVII secolo, sono effigiate le immagini dei due giganti.

Queste note testimoniano che il concepimento dello “spaventoso” è tipico, sin dalla notte dei tempi dell’umanità, per liberarsi dei mostri che vi risiedono, a oggettivarli in altro da sé. Una sorta di salvaguardia dell’io, che si realizza attraverso un processo di auto-esorcismo.

Aggiornato il 06 maggio 2021 alle ore 10:24