John Lennon e me

La recensione di un libro non è mai impresa facile, poiché non soltanto occorre evitare di indulgere nelle placide e discendenti acque della sua apologia, ma soprattutto perché – per comprenderne a fondo il senso – occorre immedesimarsi il più possibile nell’ottica con cui l’autore lo ha pensato, lo ha vissuto, lo ha sofferto, lo ha scritto e, infine, lo ha consegnato alle stampe.

Queste difficoltà aumentano se, come in questo caso, non soltanto l’oggetto del volume è inviso (specialmente la figura di John Lennon) a chi s’incarica dell’onere della recensione, ma per di più se l’autore del volume da recensire è uno di quelli oramai difficili da trovare, dalla penna sagace e dallo stile mordace, riflesso di un sostanziale pensiero pirotecnico, come è per l’appunto Marco Pitrella.

Avvocato, giornalista, musicista (non banale appassionato di musica), pensatore “boreale” – nel senso che desta stupefatta meraviglia soltanto quando si riesce ad accedere alle alte latitudini del suo pensiero vivace e provocatorio, per quanto lucido e garbato – il quale, tanto per non lasciare dubbi sulla propria originale figura, ha già perfino pensato al proprio epitaffio chiarendo, in quarta di copertina, che è stato “coerente con se stesso anche quando cambiava idea”, sintetizzando in modo lapidario l’atavica essenza dell’avvocato e l’eterna maledizione del giornalista.

Qui però s’intende parlare del libro “John Lennon e me. Aneddoti, ricordi e nonsense”, edito per i tipi della casa editrice Algra Editore, e non soltanto del suo autore, sebbene ogni libro dica qualcosa del proprio autore, e sebbene da questo poi inevitabilmente si distacchi – pur senza mai smarrire la connessione – nel corso del tempo, come una sonda inviata nello spazio, come un figlio dai genitori, come la voce del diritto nell’esistenza, come la musica nei meandri dell’anima.

Premettendo che non si tratta della solita banale agiografia dedicata ad un personaggio come John Lennon, occorre semmai precisare, come il lettore avrà modo di certificare personalmente, che trattasi semmai di una mitografia, nel senso originario del termine mito, cioè qualcosa di fondante e di fondato. Poiché, del resto, piaccia o non piaccia (e personalmente a chi scrive non piace) John Lennon è stato questo, cioè un mito fondato su altri miti che a sua volta è stato fondante di ulteriori miti.

John Lennon in fondo è stato il mito sintetizzato e sintetizzante di una generazione e, in una certa misura, ancora lo è per quelle nuove generazioni che ne risentono la lontana eco per esempio nell’obamismo, nel pacifismo, nel politicamente corretto. Marco Pitrella, con la sua prosa affilata, ironica, spesso dissacrante, ma mai blasfema rispetto alla sacralità dell’oggetto di trattazione, prende per mano il lettore e lo accompagna, come Virgilio con Dante, nell’aldilà conformisticamente rivoluzionario che è stata la vita personale e artistica di John Lennon, cioè di quel personaggio che “scimmiottava James Joyce, indossava occhiali alla Harry Potter e venne ucciso da un cretino” (pagina 13).

Pitrella introduce i nonsense di Lennon cristallizzandoli nei Lennonsense, con escursioni corsare e piratesche in tutti i suoi testi musicali, nella loro storia, nella loro composizione, nella loro sorte e nella loro fortuna presso il pubblico, dei Beatles prima, e di Lennon solista poi, anche se – a ben guardare – un Lennon solista realmente forse non è mai esistito, se è vero come è vero che l’ingombrante Lennon nei Beatles è divenuto piccolo-piccolo all’ombra dell’ingombrante personalità da sfinge della sua compagna Yoko Ono.

La rivoluzione lennoniana, precisa Pitrella, comporta di stare sempre sul pezzo, ma soltanto per “vedere il mondo con occhi diversi” (pagina 51), con quegli occhi che hanno fatto innamorare Lennon di una come Yoko Ono fino ad essere da quest’ultima fagocitato nei suoi deliri artistici. Pitrella setaccia i vari percorsi musicali di Lennon, ma sempre con quel distacco critico che inevitabilmente non possono che ricondurre la sensibilità artistica del noto musicista alle sue proprie esperienze di vita, poiché, chiosa Pitrella, “chi doveva scoprire ancora il mondo, l’ha scoperto anche attraverso i Beatles; chi il mondo l’aveva già scoperto anche con i Beatles non ha potuto non farci i conti” (pagina 45), in quanto, sempre secondo l’autore, “il mondo è di chi osa e furono i Beatles a osare, fu la rivoluzione massmediatica, bellezza!” (pagina 46).

Intrecciandone vita personale e vita artistica, attraverso la critica, la spiegazione, spesso anche la rivelazione dei retroscena sconosciuti o perfino misconosciuti, dei tantissimi brani musicali di Lennon, Pitrella si misura con la personalità stravagante e placida di Lennon che ha attraversato la storia del XX secolo, con il medesimo solenne incedere di una sposa che attraversa la navata della chiesa nel giorno delle nozze.

In questa direzione non può che giungersi all’altare della “religione” atea (e nichilistica, aggiunge chi scrive tale recensione) fondata da John Lennon e condensata in quel manifesto annichilente che è Imagine. Pitrella alla celebre canzone dedica un intero capitolo descrivendola come meglio non si potrebbe: “Imagine è quella parola appena pronunciata che fa intonare, o stonare a seconda, “Imagine all the people” anche se chi sta cantando, in inglese sa dire a stento what’s your name? Imagine è, in questo senso, canzone universale, nel senso che la conoscono tutti. Imagine è quel che definì Paul McCartney il capolavoro di John. Imagine sarà stato quel che aveva in testa chi dipinse John Lennon in un muro di Praga nel 1980. Imagine è una tirata di giacca fatta da certa politica politicante. Imagine, troppo spesso, purtroppo, è la consolazione degli stupidi all’indomani di ogni attentato (…). Imagine è la musica dei Beatles bandita in Unione Sovietica. Imagine è di sinsitra. Imagine non è di destra. Imagine è la destra che accusa di omologazione la sinistra. Imagine è la sinistra che risponde maldestra. Imagine è la lettura di una poesia. Imagine è un racconto che va raccontato. Imagine è una bella canzone” (pagine 79-80).

Il libro di Pitrella, scoppiettante e originale, dunque, esplora il mondo di Lennon e trasporta questo mondo in quel mondo, ma sempre con gli occhi di chi, come l’autore per l’appunto, guarda oltre, sentendo il senso della vita e della musica non con le orecchie, ma con il cervello e pensando non con la sola materia grigia, ma anche e soprattutto con l’anima. Proprio per questo alla domanda “perché leggere questo libro?”, si può rispondere con le stesse parole introduttive del testo: “Le musicassette. C’erano una volta le musicassette, volgarmente chiamate cassette. Era una musicassetta di mio papà e la parola Beatles stava scritta in un corsivo blu (…). Il digitale di terra, di mare e di aria doveva ancora arrivare” (pagina 7).

Perché leggere questo libro, dunque? Proprio perché il suo incipit consiste in un richiamo alla tradizione, pur parlando di una personalità rivoluzionaria come Lennon; se ai tempi di Lennon per non essere conformisti occorreva contrastare la tradizione, oggi, forse, per essere autentici rivoluzionari bisogna essere così tradizionalisti da rifarsi ai padri, al loro pensiero, al loro sentire, a ciò che sentivano, o meglio ascoltavano loro, e in senso letterale, cioè rifarsi alla loro musica. Se Pitrella sia riuscito nel suo intento sarà, però, un compito divertente che spetta scoprire esclusivamente al lettore.

(*) Marco Pitrella, John Lennon e me. Aneddoti, ricordi e nonsense”, Algra Editore

Aggiornato il 02 aprile 2021 alle ore 09:27