Il  bello delle interviste è che ti fanno scavare nelle vite delle persone, anche se credi di conoscerle scopri sempre qualcosa di nuovo. In questo caso è un viaggio di vita vissuta attraverso la costruzione di carriere ed eventi che sono tutt’oggi ancora intatte. Dopo varie trattative per incontrarci de visu, decidiamo che è meglio fare una chiacchierata telefonicamente. Così ho chiamato la Protezione Civile per farmi portare i viveri, sapendo già di dover passare qualche ora attaccata al telefono per ascoltare una piccola parte della vita di Gianni Marsili: manager musicale (e non solo) dalla mente sempre in fermento. Dall’aria sorniona non si direbbe, ma quest’uomo è capace di partorire idee geniali una dietro l’altra e tutte vincenti.

Nella sua lunga carriera è passato dalla gestione di Renato Zero a Cocciante, da Troisi alla Oxa. Da Barbarossa a Povia, a Battiato e mi fermo, altrimenti non trovo spazio nemmeno per un articolo online. Per quanto riguarda gli eventi solo per citarne alcuni: è passato da La festa de Noantri a Trastevere, all'Olympia di Parigi, ai concerti all’interno delle Terme di Caracalla. Da Forum al Foro Italico a quella de Lungo il Tevere… Roma. Vincitore a Sanremo con tanti artisti. Ideatore e organizzatore di manifestazioni che lasciano il segno. Prerogativa questa che lo accompagna fin dal periodo scolastico, quando organizzava feste per studenti. Gianni nasce a Roma, ha una sorella e un fratello che ha seguito l’attività dei genitori nel settore alimentare, nipote di un contadino e di un funzionario del ministero. E deve essere proprio questo bel mix a dare a Marsili il fiuto per gli affari vincenti in ogni campo. Infatti, già da piccolo aveva la passione per la musica, gli piaceva ascoltare e diffondere la musica straniera. Aveva, inoltre, la predisposizione ad organizzare. Il primo gruppo, o meglio, il primo complesso che ha aiutato a crescere è stato quello del figlio del suo barbiere. Ha contribuito a far conoscere tra i suoi amici Eric Burdon, Joan Baez, Elvis Presley, Paul Anka, la musica che andava nel ‘58-’60. Allora si importavano successi stranieri, si traducevano le parole facendoli diventare delle vere e proprio hit di casa nostra. E Marsili divulgava. 

Dote questa, ancora oggi molto presente. Se parla di teatro, di vino o di animali (altre sua grande passione) Marsili ha la stessa dovizia di particolari. Ed è praticamente impossibile staccarsi dalla sua narrazione. Mi racconta delle corse in auto con Franco Califano quando non esistevano gli autovelox: partivano alle 19 da Roma per fare un concerto a Bologna alle 21. Di quando rifiutò di seguire il musical Notre-Dame de Paris, consigliando lui stesso la persona che poi lo ha gestito per tutte le edizioni, il compianto David Zard. Crede fermamente che quando qualcuno ha successo c’è un motivo, che le canzoni debbano essere di interesse comune, universale e non a scopo condominiale. Un brano che trova di interesse popolare è La Lontananza (Bonaccorti-Modugno). Di sé come organizzatore si dice lontano da aspetti politici. Ha organizzato le Feste dell’Unità e le Feste dell’Amicizia con lo stesso impegno: “Produco musica, non mi occupo di altro” tiene a precisare. Di Achille Lauro dice che è una novità di oggi e che sarà sorpassata domani dal nuovo che inevitabilmente avanza. E’ un uomo rassicurante Gianni Marsili, sempre disponibile nel dare un consiglio, un suo parere, se gli viene richiesto. Mai invadente. 

Parla tantissimo ma solo se ha argomenti validi, altrimenti sa ascoltare come pochi.  La sua casa spaziosa, accogliente e fuori mano è sempre aperta agli amici, la sua tavola sempre imbandita. Colleziona soldatini. Intere pareti e locali dedicati a questa sua passione che lo rende tenero come un bimbo alle prese con la nutella. Con gli artisti ha collaborato nella produzione esecutiva della loro discografia, ma in particolare nel costruire una credibilità teatrale e televisiva di spessore, intervenendo nei contenuti, nel repertorio. Ideando personalmente soluzioni tecniche e scenografiche di ogni allestimento, nonché nella produzione e distribuzione dei loro concerti e dei loro dischi. Tutta l’esperienza acquisita l’ha riversata nell’Accademia Spettacolo Italia, creata assieme a validi professionisti del settore incontrati nella sua lunghissima carriera.  Un fiume in piena, Marsili, proprio come il “suo” Tevere. Cerco di farmi largo per qualche domanda ma è un’impresa titanica.

Come stai?

Bene grazie, prima dell’intervista ti devo parlare di un progetto(solo in questa fase abbiamo impiegato mezz’ora. O forse più)

Quando hai deciso che da grande avresti fatto il manager musicale?

Tutto è nato quando organizzavo le feste degli studenti, i cosiddetti “Tè danzanti”. La domenica pomeriggio li organizzavo dalle 15:00 alle 19:30 (orario in cui le ragazze potevano stare fuori casa), prima solo con il supporto del mangiadischi, poi, con i vari complessi in voga a Roma negli anni ‘60-’70. L’evoluzione fu il passaggio dal giradischi ai gruppi, nelle cantine e poi nelle case. Tanti gruppi sono nati nelle cantine, nei garage, uno su tutti i Pooh, per esempio.

Quali sono le cantine dei ragazzi di oggi?

Purtroppo per loro oggi non hanno più cantine, ma grandi spazi rumorosi e poco piacevoli. In questi posti manca il dialogo, non si socializza. I ragazzi hanno grandi lacune. Non conoscere un classico napoletano, una romanza, un drammaturgo come Viviani, Pirandello o De Filippo, equivale a non conoscere la Storia d’Italia. C’è un bellissimo brano scritto da Norisso-Curreri che si chiama “Chiedi chi erano i Beatles”, all’epoca (parliamo del 1984 l’anno dell’incisione) sembrava anacronistico, oggi è realtà. I ragazzi hanno troppa libertà e non sanno gestirla. Lo so che questo discorso mi fa sembrare uguale a mio nonno, o a mio padre. Però è così. Si dovrebbe obbligare a studiare l’arte.

Ma la colpa è anche degli adulti, si potrebbe educare invece di imporre o “obbligare”, come dici tu.

Cambia il verbo, la sostanza è uguale.

Hai gestito tanti nomi divenuti nel tempo pietre miliari della musica italiana. Ce n’è qualcuno che ti è rimasto particolarmente nel cuore, qualcuno con cui hai un rapporto speciale?

E come faccio a dirlo? E’ come chiedere a un padre “qual è il tuo figlio preferito”. Sicuramente c’è, ma non lo dirà mai. Quando intuivo che c’era qualcosa di valido in un artista mi ci buttavo a capofitto. Negli anni qualcuno è stato riconoscente altri… invece. Morandi, per esempio, mi ha telefonato quando sono stato male, altri lo hanno saputo e non se ne sono importati. Ci sono rapporti che vanno al di là del lavoro, altri che non partono proprio. Renato Rascel mi ha insegnato una cosa che non dimentico. Un giorno eravamo al bar, si avvicinò una persona ricordandogli la loro conoscenza e di quando pativano la fame insieme. Rascel lo trattò malissimo. Fuori dal bar (ci davamo del lei), gli chiesi perché l’avesse trattato così male. Lui mi rispose che non amava ricordare le cose brutte. Ecco, secondo me spesso le persone non amano ricordare i momenti bui. Evidentemente qualcuno mi associa agli esordi. A mio avviso l’artista che soffre è un artista che dura nel tempo, quello che ce la fa subito ha un successo effimero. Passa come tutte le mode.

Come hai conosciuto Lina, tua moglie.

(Sorride lungamente) In uno di quei pomeriggi danzanti. Arrivò in ritardo con una amica comune, le mandai via perché non avevamo più posti. Per scusarmi dell’accaduto le invitai per un pomeriggio successivo e da allora sono passati 50 anni. Anzi no, 50 anni sono di matrimonio, poi ci sono quelli di fidanzamento…

Qual è il segreto per far durare un matrimonio così tanti anni?

Intanto ci vuole un grande amore, anche se, da solo, non basta. L’amore negli anni si trasforma e prende altre forme. Credo che dopo la parte iniziale della conoscenza e della passione, la parte più bella sia quella finale. Dopo una certa età tutto assume un’altra dimensione. Gli ingredienti sono tanti ma anche la pazienza e la sopportazione giocano un grande ruolo nella vita di coppia.

Avete due figli, che genitori siete stati?

Se senti noi siamo stati perfetti. Se senti loro, non credo. La mia società, nella quale mia moglie è sempre stata una figura fondamentale, contava 20 artisti del calibro della Carrà, Cocciante, Mannoia... ogni sera era la cena del secolo, spesso eravamo fuori. Abbiamo sicuramente mancato qualche recita, qualche partita di calcio, forse anche qualche compleanno, ma li abbiamo sempre resi partecipi. I mie figli sono cresciuti sulle ginocchia di Franco Califano. A modo nostro siamo stati presenti, con le lacune di due genitori che lavorano che però li hanno coinvolti in ogni situazione.

A un certo punto della tua vita hai deciso di non seguire più gli artisti e hai incominciato ad organizzare eventi.

Non avevo più stimoli, ero un po’ stanco delle solite cose, anche dei soliti percorsi. Morandi minacciò di interrompere la tournée quando lo seppe. Il mio interesse era nella progettualità. M’innamoravo di un artista e lo portavo al successo. Possiamo prendere il caso di Renato Zero: lo feci debuttare al teatro Centrale. Eravamo una ventina di persone, tutti amici, parenti e qualche curioso. Anche qualche dirigente della RCA, ma sempre e solo per curiosità, in quanto in sede Zero non era visto di buon occhio.

Per lui si chiudevano le porte, invece di aprirsi. Lo facevano entrare solo per appuntamenti, e a quei tempi non erano tanti. Facevamo spettacoli per 350.000 lire a serata, migliaia di chilometri. Tornavamo alle 2:00-3:00 per non spendere quei pochi soldi per dormire fuori. Di notte, negli autogrill, ci trovavamo assieme a persone poco raccomandabile o a camionisti, la gente che girava a quell’ora. Immaginati la scena: Renato in tutina rosa che provocatoriamente esibiva il suo look, nella speranza di indurre qualcuno a dire qualcosa fuori posto. Lui si divertiva così, io non tanto.  Era plateale anche fuori dal palco. Veniva appellato con termini che non mi va di ripetere, erano altri tempi. Lui però aveva quella marcia in più, quel modo di essere che me lo ha fatto definire un matrix da subito. Un capo tribù, quasi un santone. Come succede con Celentano, Mina e pochi altri. La gente vuole sapere ciò che dicono, quello che fanno, oltre a cosa cantano. Per tornare agli inizi, presentammo il 45 giri Mamma No davanti a pochi curiosi, fino al successo-evento Zero-Fobia al teatro Tenda. Il mio compito a quel punto si esaurì. Quando riesco a portare un artista a un livello così alto, posso solo togliermi dalla scena. Non solo metaforicamente. Non mi sento più necessario, passo a un nuovo progetto da realizzare. L’interesse con il tempo ha preso altre forme.

Quando incomincia il declino di un artista?

Quando decide di voler fare tutto da solo. Quando crede di poter sostituire un team di persone che ha contribuito al suo successo. La frase è “ragazzi io ho pensato”. A quel punto è finita. Incomincia a scegliere tutto da solo, dalla copertina del disco agli accordi da accettare. Ognuno deve fare il proprio mestiere. Il periodo in cui Cocciante, per esempio, aveva due autori come Pisano-Moricone e come arrangiatore Geoff Westley (quando arrangiava anche per Elton John), ecco, quelle alchimie non si possono ricreare se uno da solo vuole sostituirsi a tre mostri sacri. Inevitabilmente inizia la discesa.

Qual è stato il primo evento di rilievo che hai organizzato?

Senza dubbio è stato Forum al Foro Italico. Ero con Mario Pescante, l’allora presidente del Coni. Tra una chiacchiera e l’altra mi venne l’idea di mettere su questa iniziativa. Il presidente l’accolse di buon grado, l’unico veto che mi diede fu quello di non intralciare gli eventi sportivi. Veto che rispettammo e condividemmo. Il resto è storia.

Come nasce invece la manifestazione Lungo il Tevere…Roma?

Intanto parliamo del 2001. Questo grande successo ha dell’incredibile, perché nasce per una intuizione non mia. Avevo vinto il bando per organizzare La festa de Noantri, la manifestazione più popolare di Roma. In quel periodo stavano facendo i lavori per la linea del tram che passa proprio lì, il numero 8. Mi chiamò il presidente del municipio per dirmi che la manifestazione si doveva rimandare, oppure se avessi trovato un luogo idoneo in sostituzione lui mi avrebbe dato il consenso. Ero smarrito, perché avevo poco tempo e molte cose già avviate. Una consigliera comunale mi suggerì le banchine del Tevere. Ora, devi sapere che i romani avevano quasi dimenticato quel luogo. Io stesso non ci pensavo più. C’è anche una problematica oggettiva: il parapetto della balconata del Tevere è fatto con il marmo del Colosseo è largo almeno un metro, la gente fa fatica ad affacciarsi e a vedere cosa c’è sotto. Il luogo era meraviglioso ma ci voleva molta fantasia e tanto lavoro per mettere a norma tutto. Partendo dai gradini imperfetti, anch’essi realizzati con lo stesso marmo del Colosseo. Può capitare che uno sia di 35 centimetri e uno di 45, mentre la pedata del gradino deve essere profonda da un minimo di 23 a un massimo di 30 centimetri. L’alzata, ovvero l’altezza del gradino, può variare da un minimo di 16 a un massimo di 20 centimetri. Potrei parlare all’infinito. Noi non avevamo niente di tutto questo. Eppure intravidi un’oasi che la storia ci aveva lasciato e che non avevamo mai utilizzato, fino a quel momento.

Quanti particolari: e ti ricordi anche come hai trovato le banchine?

Impossibile dimenticare. Abbiamo raccolto più di 1,500 kg di siringhe di plastica. Abbiamo trovato carcasse di automobili appoggiate con i cerchioni sui sampietrini, il posto era diventato “area protetta” per drogarsi, o prostituirsi. L’intero suolo era un orinatoio. Ci vivevano 40 senzatetto. Posso dire di averli adottati. Qualcuno l’ho sistemato in case di accoglienza, altri tramite i vigili del fuoco, che si sono resi disponibili e hanno trovato un giaciglio. A tutti feci la promessa di un pasto caldo ogni sera, e la mantenni.

Ti ricordi di qualcuno in modo specifico?

Li ricordo tutti, ma uno lo ricordo per la sua grande dignità. Lo chiamavamo Il Professore. Diceva che non tornava a casa per non disturbare. Invece una casa non ce l’aveva più.

Cosa rappresenta per te Lungo il Tevere…Roma?

Intanto un grande successo imprenditoriale, non lo dico io, ma i numeri. La SIAE parla chiaro: due milioni di persone a stagione. Tengo a precisare che solo il primo anno presi un contributo economico, poi mai più. Ora abbiamo solo il patrocinio del Comune e della Regione

Come mai questa estate la manifestazione non si è svolta?

Sempre per una questione di numeri. Per noi la pandemia è stata come per un pugile prendere un pugno in pieno volto quando credeva di aver vinto il match. Noi abbiamo 600 persone, solo di personale fisso, circa 200 stand commerciali, 14 punti ristoro, se solo facciamo un conto di due tre persone ad attività. Aggiungiamo 40 persone per la sorveglianza, i giardinieri, e tante altre figure, ecco che i numeri salgono. Senza contare il teatro, le compagnie. Ci avevano imposto al massimo mille presenze al giorno. Un’impresa per noi impossibile. Abbiamo preferito stare fermi, con la speranza di tornare l’anno prossimo più motivati che mai.

C’è un artista che avresti voluto gestire ma non hai avuto?

Sì, mi sarebbe piaciuto tanto Peppino di Capri, ma siccome gestivo Fred Bongusto, non potevo avere due artisti legati alle atmosfere dei night. Peppino Di Capri è un artista che amo tanto, spesso ho l’esigenza di ascoltare le sue canzoni.

Pensi mai di tornare a fare il manager?

In verità da quando con alcuni amici abbiamo fondato l’Accademia Spettacolo Italia sono tornato nuovamente, anche se in altre vesti, ad avere a che fare con gli artisti. Sia ben chiaro, noi non insegniamo a cantare o a suonare. Da noi vengono già con le idee chiare. Il nostro compito è di immetterli nel campo del lavoro con una formazione professionale, anche attraverso vere e proprie tournée, per esempio. Abbiamo allievi da tutta Italia. Con questa storia del Covid abbiamo anche una piattaforma online, oltre che dal vivo. I nostri ragazzi hanno la possibilità di interfacciarsi con tutte le problematiche che abbracciano il campo dello spettacolo a 360 gradi. E poi ora c’è anche l’Orchestraccia.

L’Orchestraccia appunto, allora possiamo dire che sei tornato al “vecchio amore”?

L’Orchestraccia è una sfida ed un divertimento, mi sono rimesso in discussione ed ho lavorato rimettendo insieme il gruppo che si stava sciogliendo e piano piano l’ho portato al debutto al Teatro Olimpico, a fare un brano con Claudia Gerini che celebra la Ferri e, la speranza motivata, da un brano molto bello, di andare nuovamente a Sanremo.

Cosa fa Gianni quando sta con Gianni?

Dipinge soldatini.

www.accademiaspettacoloitalia.it

 www.lungoiltevereroma.it

Aggiornato il 23 ottobre 2020 alle ore 10:21