Il “cinema blù” dal Covid alla Mostra di Venezia

venerdì 11 settembre 2020


Tra le tante questioni scottanti ce n’è una che pare essere marginale rispetto alle emergenze o ai temi grandi, eppure ha la sua logica e centralità. Potrei chiamarla la “guerra dei belli” in concomitanza della Mostra del cinema di Venezia arrivato al finale. Ma in considerazione della difficile condizione che attraversa il mondo dello spettacolo, il più penalizzato dall’epidemia mondiale, provo a spiegare questa crisi attraverso quattro esempi di attori italiani, che pur non strettamente in concorso rappresentano una sfida e indicano come possa rinascere il contenuto cinematografico. Negli ultimi anni l’immagine estetica ha prevalso sulla recitazione, questo è indubbio. Ed è diventata una specie di guerra tra “occhi blù”. C’è una categoria di attori che seppure non siano tutti uguali, puntano sull’avvenenza fisica, sulla bellezza e sullo sguardo. Gabriel Garko né è il capofila. Bellissimo e bravo, non c’è che dire, con quel liquido mefistofelico negli occhi. Potremmo fare tanti esempi anche internazionali, penso a Brad Pitt o a Leonardo DiCaprio. Poi ci sono quelli che quasi confondi. Intendo la linea Raoul Bova, Lino Guanciale e Alessandro Preziosi. No, Preziosi non sta in questa galleria e non dovremmo sbagliare. Ecco perché la Mostra di Venezia è un’occasione per rifare il punto in questa era apocalittica con trame, regie, attori e opere giovani in gara.

Raoul Bova è l’ex nuotatore con il fisico alla Massimiliano Rosolino, che iniziò come aiutante a Scommettiamo che nel ‘91, poi è arrivato al grande schermo dei Vanzina e di Pupi Avati con Monica Guerritore e Giancarlo Giannini, al poliziesco delle grandi produzioni Usa, alle fiction da record con la serie che pare ritagliata su di lui “Come un delfino”, e anche ai ruoli più impegnativi di Sisto IV nella co-produzione internazionale I Medici, oltre che con Caccia ai narcos di Canale 5. Cos’ha di così accattivante Bova oltre al colore vincente degli occhi? Quello che ha anche Lino Guanciale, che ha iniziato dal teatro, dal diploma in Accademia nel 2003, poi è arrivato al cinema di Carlos Saura e di Francesco Antonio Castaldo e si è rivelato al grande pubblico tivù con La dama velata insieme con Miriam Leone, che nel 2015 lo portò al Premio Flaiano in quanto “rivelazione dell’anno”.

Quale magia usa Guanciale per intrigare il pubblico, soprattutto femminile, tra amore, rosa e noir? Quella che aveva fatto trionfare tra il 2003 e il 2004 su Canale 5 anche Alessandro Preziosi in Elisa di Rivombrosa, la serie di Cinzia Th Torrini, che forse le più giovani non sanno, ma costituì un caso oltre che da record di ascolti, di femminile e di sociale, che mobilitò antropologhe, sociologhe, scrittrici, intellettuali, come un nuovo Via col vento e Giulietta e Romeo formato televisivo. Cioè l’amore degli amori. Serie in costume, ambientata nel Piemonte del 1796, racconta le nozze contrastate dalle regole di nascita tra Elisa Scalzi, la splendida Vittoria Puccini, e lo sprezzante, innamorato, condottiero conte Fabrizio Ristori di Rivombrosa, interpretato da Preziosi. All’epoca mi occupai di alcuni dibattiti organizzati a Milano dal gruppo delle donne di Dol’s vicine alla regista, perché la stessa Cinzia Th Torrini, che pure aveva ideato la serie, l’aveva scritta e l’aveva girata, non riusciva a spiegarsi quel successo da visibilio di una eccellente ma anche classica storia rosa. Lo spiegarono nel tempo gli stessi protagonisti, Vittoria Puccini e Alessandro Preziosi, che si innamorano sul serio e si sposarono. Quando l’amore è vero vince sempre. Solo tu, solo io. E nello sceneggiato era nascosta la chiave di una magnifica lezione sull’amore invincibile.

Eppure la storia nella vita non mi pare abbia avuto il lieto fine, ma in quella fiction c’era di più della trama, dei sentimenti in quanto tali, veri o recitati, degli occhi chiari, languidi, scintillanti, pungenti, sognanti, sfidanti, ironici, seduttivi, ribelli e amanti, dei protagonisti. Questo per dire, oggi che le categorie estetiche sono così in crisi, che seppure talvolta vince “il bello e facile”, non tutto è solo bello e solo facile. Come non sono uguali gli occhi di nessuno dei divi di cui pure ho fatto i nomi. E non si può neppure metterli sullo stesso piano o nella stessa categoria solo perché gli interpreti hanno il fisico da campione, l’eleganza Armani, il talento del vero attore. Ho seguito Alessandro Preziosi nella sua carriera. Ho letto, ascoltato e visto brani di opere che ha portato in teatro, dal Sant’Agostino della Lux Video all’Amleto che gli valse nel 2010 il Premio Gassman. Soprattutto il suo magistrale Vincent Van Gogh ne L’odore assordante del bianco nel 2017, monologo teatrale che mi stupì perché nello stesso periodo stavo facendo degli approfondimenti sul pittore olandese incrociando le stesse intuizioni.

Poi, per caso, una sera mi sono imbattuta in un video in cui Preziosi, seduto su una piccola e comune una sedia di legno, su un palcoscenico vuoto, con un pullover a collo alto che faceva risaltare il volto e soprattutto lo sguardo, a una voce che lo intervista fuori campo, risponde e cerca di spiegare la sua ricerca interiore, il suo traguardo. No, ad essere sincera non è esatto, questo è il monologo che ho immaginato potesse scaturire da un’intervista rilasciata da Preziosi alla trasmissione Effetto notte di Tv Sat 2000, che potete trovare on line, su che cosa è l’amore. E da lì io stessa ho capito le profondità di Dio, cioè che le cose sacre sono pregne di intelletto, passano per il discernimento, sono alte, talvolta irraggiungibili, poi minime come una leggera farfalla e quindi buie come il nero e infine bianche più dell’assoluto. Dal cenacolo dei suoi occhi, di Alessandro Preziosi, ho capito la ricerca della fede. E la vita, l’amore, la tensione poetica. Dunque in chiusura di questa edizione particolare della Mostra, scrivo che il cinema, il teatro, ma anche la fiction e le serie, si svuotano se perdono l’aldilà della bellezza e il messaggio. Dice Preziosi: “L’amore cos’è? È come il cielo”. Mah, un attore così, che vuoi spiegare di più, basta essere in ultima fila, al buio, invisibile, ad ascoltarlo.


di Donatella Papi