Addio “fuori sede”, dopo la maturità si scelgono atenei vicino casa

Solo il 55 per cento dei maturandi ha deciso cosa farà dopo il diploma. Ma, nel dubbio, si continua a puntare sul “pezzo di carta”: 8 neodiplomati su 10 pensano di iscriversi all’università. Anche se la netta maggioranza di loro sceglierà un ateneo della propria regione. E per uno su 4, tra chi ha preso questa decisione, il motivo è legato proprio all’emergenza sanitaria. Lo rileva un sondaggio di Skuola.net dal quale emerge che “non c’è alcuna fuga dall’università” ma dove possibile si eviterà la vita da “fuori sede”.

Infatti ci sarà qualche cambiamento nelle dinamiche, a causa del Covid-19. Basta osservare l’ipotetica distribuzione delle matricole sul territorio. In media, quasi 2 su 3 immaginano di iscriversi in un ateneo della propria regione; un dato che al Nord (area geografica che di solito accoglie più studenti di quanti ne lascia partire) supera quota 70 per cento. Un altro 10 per cento è ancora indeciso. Mentre solo 1 su 4 ha intenzione di trasferirsi ugualmente; con un picco leggermente più alto (30%) tra gli studenti del Sud (tradizionalmente più inclini, spesso per necessità, all’esodo); ma, comunque, in flessione rispetto agli standard usuali dei flussi dei fuori sede. Per molti, l’elemento determinante per farli rimanere, è legato proprio al virus. Stiamo parlando di quasi un futuro universitario su 4 tra quelli che resterà all’interno dei confini regionali: il 5%, senza la crisi socio-sanitaria si sarebbe trasferito sicuramente; il 18 per cento avrebbe perlomeno valutato l’offerta formativa di atenei di altre regioni. A pesare sulla loro scelta in primis fattori economici: oltre 1 su 2, alla luce di quanto successo, non può permettersi la vita da studente fuori sede.

Notevole anche il ruolo di eventuali problemi logistici: il 40 per cento ha paura che gli spostamenti per tornare a casa possano essere molto difficili, specie se ci sarà una ripresa dei contagi. Meno decisivi (9%), invece, i timori della famiglia. Una brutta notizia per quelle città che basavano parte del proprio bilancio sull’ospitalità universitaria. Tra chi si trasferirà il 28% dice che nella propria regione non c’è il corso di laurea che vorrebbero frequentare, il 35% racconta che negli atenei della sua regione la qualità del corso prescelto è bassa. Approccio pragmatico pure per quel che riguarda le strade più battute. Si punta alle discipline che, in teoria, garantiscono più chance di trovare lavoro. Circa un quarto (24%) - dato stabile rispetto al passato - tenterà l’iscrizione a un corso di area medico-sanitaria (Medicina, Odontoiatria, Professioni sanitarie, ecc.); quasi 1 su 5 proverà con corsi di Ingegneria o di Informatica (in crescita se guardiamo a dodici mesi fa); terzo posto condiviso (col 12% di preferenze) per i corsi di economia e marketing e per quelli umanistici o in lingue. Il condizionale, però, è d’obbligo: più di 8 su 10 devono passare per i test d’ingresso, nazionali o locali. Una missione per la quale quasi tutti (80%) si stanno già preparando (1 su 3 da almeno tre mesi). E gli altri? Quelli che nel proprio futuro non intravedono l’università? Poco meno della metà di loro cercherà subito un’occupazione (anche attraverso concorsi), mentre gli altri si dividono tra chi pensa di andare all’estero per studiare o lavorare, tra chi frequenterà corsi di formazione non universitari (es. Its, corsi regionali, ecc.), tra chi tenterà una carriera nelle forze armate o di polizia.

Scelte diverse, accomunate soprattutto dalla voglia di trovare la propria dimensione in fretta (al primo posto tra le priorità per il 33% delle mancate matricole) ma anche dalla consapevolezza che lo studio universitario non sia nelle proprie corde (la mette in cima alle motivazioni il 29%), a cui va aggiunto un 17% che non crede che una laurea attualmente dia tutte queste opportunità lavorative in più. Ma, almeno questi ultimi, i dati ufficiali sembrano smentirli. Dipende dalla laurea.

Aggiornato il 03 luglio 2020 alle ore 17:07