Il cristiano Scanderbeg: le “radici” dell’Albania

…se io ho lasciata la falsa fede di Maometto e sono ritornato alla vera fede di Gesù Cristo, io sono certo di aver scelto la miglior parte. Perché osservando i suoi santi comandamenti sono certo che l’anima mia sarà salva e non (come sostieni tu) perduta. Ti prego, per la salute dell’anima tua, di ascoltare da me ancora un ottimo consiglio. Degnati di leggere il Corano: cioè la raccolta dei precetti divini dove potrai facilmente vedere chi di noi sia in errore. E così ho speranza, se tu vorrai equamente considerare, che, vinto dalla ragione, ti sottometterai alla sacrosanta fede cristiana, soltanto nella quale tutti gli uomini che cercano di salvarsi si salvano e fuori della quale ogni altra si rovina.

Lo stralcio dell’epistola sopra riportata fu scritto da Giorgio Castriota Scanderbeg (Gjergj Kastrioti Skënderbeu) a Murad II principe Ottomano; la lettera fu inclusa dal Biemmi in una sua opera datata 1742, tratta da un carteggio, dall’ignoto autore, datato 1480. Esporre in un “breve spazio”, una sinossi esaustiva della vita di Scanderbeg, sarebbe estremamente riduttivo, tuttavia al fine di illustrare la figura del Condottiero mi conterrò solo ad alcuni eventi.

L’Albania di Gjon Kastrioti, padre di Giorgio, fu assoggettata dall’Islam nel 1393; nel 1405 nacque Giorgio, che come da tradizione turca, fu preso in ostaggio (garanzia di fedeltà al Sultano) e portato ad Adrianopoli per educarlo alla fede islamica. La stessa sorte toccò, qualche decennio più tardi, a Vlad Dracul, meglio noto come Vlad III Tepes, l’impalatore. Gli effetti del rapimento sulla psiche di Giorgio e Vlad furono notevolmente dissimili. La carriera militare di Scanderbeg nell’ambito islamico fu sorprendente, fu così apprezzato dal Sultano che gli conferì il nome turco di İskender beg traducibile come Alessandro il “Grande” (o Signore).

Scanderbeg poté “liberarsi” dei Turchi, tornare a Kruja e riconvertirsi al cattolicesimo (solo formalmente in quanto nel cuore era rimasto cristiano), solo nel 1443, quando il Re e condottiero ungherese János Hunyadi sconfisse l’esercito ottomano. Scanderbeg rappresenta, da questa fase storica, quella che io definisco, l’antemurale cristianitatis balcanica (storicamente è riconosciuto antemurale cristianitatis la Polonia), infatti difenderà il territorio albanese (con quasi quaranta battaglie), dall’aggressività islamica, soprattutto dopo il maggio 1453, momento di entusiastico delirio per l’Islam conquistatore di Costantinopoli. Castriota muore naturalmente, alcuni testi riportano dicembre 1467 altri gennaio 1468, ma finché visse, l’Islam non sottomise il suo territorio, impedendo ai musulmani di sbarcare sulle coste italiche. Dopo la sua morte, Shqipëria (Albania) fu sopraffatta dai maomettani, che poi, scorsi i “tempi storici”, partirono da Valona e sbarcarono ad Otranto nel luglio 1480, restando fino alla fine del 1481 e perpetrando “ordinarie” atrocità ancora vive nei ricordi degli idruntini. Solo la fatale e provvidenziale morte di Maometto II il Conquistatore, avvenuta il 3 maggio 1481, impedì all’Islam di dirigersi verso Roma, infatti da quel momento l’esercito turco si ritirò da Otranto.

Scanderbeg anche se combatté contro l’Islam per circa venti anni, come un Cavaliere Templare, non rinunciò mai al dialogo; testimonianza è la parte dell’epistola presentata in apertura, nella quale si palesa l’esortazione, rivolta a Murad II, di una sollecita lettura del Corano, perfettamente conosciuto dal Castriota, come padroneggiata era la lingua araba, quella turca e quella italiana. Tuttavia, dalla lettura del carteggio traspaiono due intenti dominanti: quello “cristiano” che si palesa nel Principe albanese tramite lo spirito crociato difensore della cristianità e l’altro tendenzialmente laico, legato all’utilizzo della tolleranza espressa con la diplomazia, tesa a non escludere nessuna forma di intesa al fine di raggiungere gli obiettivi prefissati. I due orientamenti sono stati perfettamente integrati dalla politica di Scanderbeg in una logica costruttiva ed efficace che ha dimostrato la forte valenza strategica e politica dell’antemurale cristianitatis albanese.

Un’approfondita ma sintetica analisi del profilo psicologico e politico di Scanderbeg, può aprire alla comprensione di altri principi guida che hanno disegnato le sue azioni: la libertà fu uno degli elementi fondanti delle sue azioni, la libertà come concetto universale, ma anche la libertà come antitesi all’oppressione o meglio alla sottomissione, riferendosi al significato letterario della parola Islam (sottomissione).

Il significato che Scanderbeg dà al concetto di nazionalismo e libertà va contestualizzato nell’ambito sociologicamente articolato del XV secolo (così come oggi il concetto di Islam e anarchia va posizionato in un contesto sociopolitico eterogeneo e centrifugo), ma segnerà in modo indelebile il destino della popolazione albanese. Verosimilmente il Castriota diffuse il Cristianesimo nella terra di Shqipëria con la forza e l’entusiasmo di un Templare, la sua fede fu facilmente condivisa dai vari principi, fu appoggiata moralmente ma poco o nulla in pratica, dal (in quel momento) pigro e pauroso Cattolicesimo romano. Ritengo che l’opera più rilevante lasciata da Scanderbeg all’Albania fosse proprio la definizione caratteriale di un popolo: introdusse elementi omogenei in una società prima di lui eterogenea, la cultura, la fede, la lingua arbëreshe, la consapevolezza della nazione, le relazioni extranazionali, la tenacia e la strategia nella difesa dei valori comuni. Poco prima di morire, conscio della drammatica sorte che sarebbe spettata alla Shqipëria, esortò il figlio Gjon a trasferirsi nel Regno di Napoli con il quale aveva un profondo legame e dove, nell’attuale terra di Puglia e Calabria, possedeva proprietà e castelli. Il territorio albanese occupato dall’impero Ottomano fu sottomesso e fu esercitata, con le prassi consuetudinarie, la forzata conversione all’Islam; ma le radici culturali fondate dal Castriota restarono, dividendo la società albanese tra cristiani cattolici e ortodossi, “musulmani sociologici” e osservanti del Canun (codice Lekë Dukagjini). L’epopea di Giorgio Castriota Scanderbeg raccoglie e simboleggia il fenotipo di cavaliere medievale, posto nel punto di “mezzo” tra oriente ed occidente

Come ho sostenuto, in più occasioni, ma particolarmente in alcune conferenze in occasione del VII centenario della morte di Jaques de Molay, probabilmente nessun cavaliere ha interpretato meglio, dopo lo sterminio dei Templari, i principi propri dell’Ordine cavalleresco come Gjergj Kastrioti Skenderbeu. La complessità del periodo storico, dato dalla massiccia presenza dell’Impero Ottomano su territori e società con forti criticità, ma soprattutto lo scontro tra due culture, quella occidentale e quella orientale, tra il Cristianesimo in contrazione e l’Islam in espansione, induce a definire la figura del Castriota come il vero baluardo, che nel mezzo del XV secolo, ha frenato Maometto II dal raggiungere le coste italiane. Scanderbeg dovette opporsi ad un Islam che aveva inferto, come già accennato, un colpo devastante al Cristianesimo orientale. Bisognerà attendere l’11 (e 12) settembre 1683 (coincidenza 11 settembre 2001), nel momento in cui la Lega Santa, con Marco Da Aviano ed il Re polacco Sobieski, propiziò sul monte Kahlenberg, l’attacco all’Impero Ottomano, con la successiva disastrosa ritirata del Gran Visir Kara Mustafà, per iniziare a percepire quello “spasmo” che porterà l’Impero Ottomano ad essere considerato da minaccia d’Europa a malato d’Europa.

Ricordo che l’emiro Chaysar Osama nel 1188 definì i Cavalieri Templari come i “miei amici Templari”, e come Mehmet II il Conquistatore considerasse Scanderbeg un grande combattente asserendo che: “Mai sulla terra sarebbe più nato un simile leone.

Aggiornato il 07 aprile 2020 alle ore 12:16