Interviste immaginarie: Dio

Oggi ho voluto tentare il più grande scoop di tutta la mia carriera giornalistica, letteraria e filosofica mai realizzato: intervistare Dio, parlargli, nel senso di instaurare un dialogo con Lui. E’ vero, io sono in contatto continuo e diretto con Dio, anche perché da circa cinquant’anni pratico la meditazione yoga trascendentale, ma quello che si prova, alla fine, è una specie di estasi, che ti congiunge a Dio ma nulla ti dà sul piano della conoscenza. E’ come quando, dopo aver fatto un sogno, ci svegliamo e non ne ricordiamo il contenuto, ma ci risuona dentro la dolcezza che abbiamo provato. Dio lo vediamo e lo sentiamo tutti, nella natura e dentro di noi, nella sua veste umana, ma un’intervista potrebbe mettere a punto molte cose, rivelarmi delle importanti verità. Così nel pomeriggio mi sono seduto sulla poltrona del mio studio, con le mani incrociate nel grembo, e chiusi gli occhi, pensando a Dio, ho cominciato a recitare mentalmente il mio mantra in attesa e nella speranza che la mia coscienza, andata in trascendenza, potesse in qualche modo vederlo e parlargli. C’è voluto più tempo che in tutte le altre mie meditazioni, ma alla fine, senza vederne, ovviamente, l’immagine, come Abramo e Mosè alla sua chiamata, ne ho sentito la voce.

“Eccomi!”.

“Padre mio!”, ho esclamato, come ogni volta che mi rivolgo a Dio o recito il Padre nostro. Mi sono sempre chiesto, infatti, fin da bambino: “Perché devo dire ‘nostro’? ‘Nostro va bene quando la preghiera è collettiva, ma se prego io solo devo dire ‘mio’”. E raramente recitavo tutta la preghiera,  mi limitavo a dire ‘Sia fatta la tua volontà’. A che serviva infatti tutto il resto? Il quale più che una preghiera mi sembrava un imperativo categorico, come quello kantiano: ‘Dacci oggi il nostro pane quotidiano’ (dove ‘oggi’ è pleonastico, visto che il pane è ‘quotidiano’); ‘Rimetti a noi i nostri debiti’, ‘Non indurci in tentazione’, ‘Liberaci dal male e ‘così sia’: una conclusione che sembrava anch’essa un imperativo, come dire: ‘E’ così che devi fare’”.

“In quale veste vuoi che ti parli?”, ha proseguito Dio. “Come uomo? In italiano, in greco o in latino? Ho letto infatti tutte le tue traduzioni. Complimenti!”.

“No”, gli ho risposto. “Quanto alla lingua mi serve quella italiana, ma che tu mi parli nella tua veste umana non ne ho bisogno: come ha detto Metastasio, ‘dovunque il guardo io giro, immenso Dio, ti vedo, nell’opre tue t’ammiro, ti riconosco in me. La terra, il mar, le stelle parlan del tuo potere, Tu sei per tutto e noi, tutti viviamo in te’”.

“E allora devo farti una premessa, una precisazione. Io non vivo in due dimensioni, come credete voi, assoluta e relativa: oltre a queste due ce n’è una intermedia”.

“Cioè?”.

“Prima di Dio c’è la Divinità. Quando voi dite Dio mi personificate, ma io non sono una ‘persona’ nel senso che intendete voi, uomo o donna che sia: in latino persona è la ‘maschera’ che si mettono gli attori, così chiamata perché la loro voce personat, cioè ‘risuona’, diffondendosi meglio nello spazio. Come persona, dunque, io sono in senso lato, la Voce della Divinità, la quale è una sostanza, o un’Entità impersonale, in cui, per fare alcuni esempi, io non sono ‘beato’, sono la ‘Beatitudine’, non sono ‘buono’, sono la ‘Bontà’. E’ chiaro?”.

“Chiarissimo”.

“Tertulliano mi ha diviso addirittura in tre ‘persone’, nel senso di individuo umano, e per giunta ‘distinte’: Padre, Figlio e Spirito Santo. E poi però dice che il Figlio, Gesù, è ‘coeterno al Padre’, quando padre si diventa dopo avere generato un figlio, e un figlio diventa tale dopo essere stato generato. Io sono sì una Trinità, ma perché vivo in tre dimensioni, come Divinità, come Dio e come Uomo. E’ questa la mia Trinità. La Divinità è un insieme di qualità al di sopra dell’umano, come la beatitudine, la perfezione, l’immortalità, la potenza insuperabile, la suprema bellezza e così via. Certo, ci sono dentro io, come tutte le cose che provengono da lì, ma voi mi date anche un nome di persona, come Jahvè, Geova, Adonai, Elì, Allah, Brahma, Elohim (che fra l’altro è plurale e significa ‘dèi’), e così via. I cabalisti me ne hanno affibbiati addirittura settantadue. Io sono Dio e basta”. 

“Avete ragione. Anche la Chiesa dà di Voi un’immagine antropomorfica e paganeggiante, e cade pure nel politeismo”.

“Ora, come Divinità (parlo al passato per farti capire meglio) io ero in uno stato di beatitudine, o di estasi, di cui non potevo essere cosciente: ero come addormentato, solo al risveglio, passando dalla dimensione assoluta a quella intermedia, come accade a voi quando vi svegliate dal sonno, io presi coscienza di me, nell’aspetto di Dio, ma la mia conoscenza, pur essendo infinita, e proprio perché infinita, era in fieri, cioè in divenire”.

“Così ho sempre pensato anch’io. E lo dice pure la Bibbia, se s’interpreta bene quel che dice Mosè”.

“Esatto. Io nel corso della ‘Creazione’ prendevo atto via via se quello che facevo era buono o cattivo (dice Mosè: ‘Dio vide ch’era buono’, ‘Dio vide che non era bene che Adamo restasse solo’, e così via). E allora innanzitutto ciò significa che il ‘cattivo’, cioè il male, era già in me, e poi che la mia conoscenza andava sviluppandosi via via, visto che nella  Divinità, come ti ho detto, ero in uno stato di beatitudine, non sapevo come sarebbero andate le cose, ero la Legge, sì, ma io ne presi coscienza dopo il risveglio, quando dalla dimensione assoluta passai a quella intermedia, come Dio. Ora la Legge è Legge, composta da articoli fissi e ben precisi che non ammettono eccezioni o modifiche, e a cui non posso sottrarmi nemmeno io, perché io, nella Divinità, sono la Legge per eccellenza. Vuoi che ti faccia un esempio?”.

“Ditemi, Padre mio”.

“Se io prendo dalla mia essenza due atomi d’idrogeno e uno d’ossigeno e li lego chimicamente fra loro posso trarne soltanto acqua, allo stato liquido, solido come il ghiaccio, o vaporoso, che non si vede nemmeno, ma non un caffellatte o un cappuccino. In partenza la mia è una legge scientifica. Nella dimensione assoluta io non sono un ‘puro spirito’ nel senso in cui l’intende la Chiesa, sono una massa infinita di energia nel suo stato sottile ed invisibile, che nella dimensione relativa, in alcuni punti dello spazio, che sono un niente di fronte all’’infinito, assume una forma concreta e visibile: come il fulmine che, sprigionandosi dall’energia nel suo stato sottile ed invisibile, si fa concreto e visibile nel fuoco. Lo spirito è la materia nel suo stato sottile ed invisibile, la materia è lo spirito nel suo stato grossolano e visibile. Unica è la sostanza. Come unico sono io: non esiste un anti-Dio”.

“La Chiesa definisce la materia, e soprattutto la carne, una ‘bassezza’, una ‘vergogna’, come le parti genitali dell’uomo e della donna che servono per la procreazione. Voi avete detto agli animali e all’uomo: ‘Prolificate e popolate il mondo!’. Con che cosa se non col sesso? Il quale dunque non è un vostro dono, come recentemente lo ha definito il papa, mettendolo sullo stesso piano della fede. La Chiesa ha scomunicato Spinoza per il suo Deus sive Natura e Teilhard De Chardin, definendo il primo ‘un empio, di cui la terra mai non vide nulla di più dannoso’ e aggiungendo: ‘Che sia maledetto giorno e notte, nel sonno e nella veglia, in casa e fuori, che l’Eterno mai non lo perdoni’, e tentò persino di assassinarlo. Il secondo, che aveva scritto un inno alla materia divina, lo chiamò il ‘gesuita proibito’, il ‘fatiscente eretico che si congiunge a Dio anche col corpo’”.

“Ascolta. Io non posso dirti tutto di me (‘non posso’, capisci? Anche questo rientra nella Legge), e del resto tu hai scritto molte cose sul mistero che mi avvolge: nel tuo ultimo poemetto, La Divina Tragedia, parli del mio dolore, non soltanto nelle vesti di Cristo, che con la sua morte sulla croce è stato l’epifania ‘spettacolare’ della mia sofferenza, ma pure prima e dopo, in quanto io, nelle mie tre dimensioni, sono anche dolore, e dunque partecipe della vostra sofferenza”.   

“Mosè vi descrive come un uomo che si arrabbia, che s’ingelosisce, che maledice, che punisce e così via, dunque è evidente che Voi soffrite”.

“La Creazione descritta da Mosè è come la parafrasi allungata di una breve poesia ermetica in cui la mano dell’interprete o del commentatore, come un pittore, infila altre parole per abbellire il quadro. Io l’universo e tutto il resto, materiale e dunque visibile, non l’ho mica tratto dal nulla: il nulla non esiste, in quanto io occupo tutto lo spazio infinito e dovunque, sotto diversi aspetti, non ci sono che io. Il verbo ‘creare’ va inteso nel senso di produrre qualcosa servendosi di ciò che già si possiede. Così ho fatto io, che ho tratto da me stesso il materiale per la creazione, come il ragno trae la tela dalla propria sostanza, o come l’uomo trasforma i pensieri, invisibili, in parole, pronunciate o scritte, e perciò visibili”.

“D’altra parte nel testo originale della Bibbia, in ebraico, il verbo è barà, che non significa creare, e tanto meno dal nulla, ma ‘dare forma’”.

“Esatto. Giovanni nell’esordio del suo Vangelo dice: ‘In principio era la Parola, la Parola era Dio, tutte le cose sono nate da lì, dalla Parola’, cioè dalla mia voce, costituita da suoni, quali le vocali e le consonanti, che mescolandosi fra loro in una serie innumerevole di combinazioni, come gli anagrammi di una parola, si sono trasformati in cose concrete, materiali e visibili, e però caduche e passeggere. Non c’è parola d’uomo, pronunciata o scritta, anche in tutti i libri, sacri e profani, compresi i giornali e la Settimana Enigmistica, che non risalga a me. E per via della dialettica, che è la mia vera creazione, io posso anche rivoltare la frittata, criticando me stesso, contraddicendomi e prendendomela persino con la Chiesa, che pure parla e agisce sempre a nome mio”.

“Un gioco, dunque, dialettico e dinamico, fatto di tesi e antitesi, con le quali l’uomo ha il compito di realizzare la sintesi per ritornare a Voi nella vostra dimensione assoluta”.

“Esatto”.

“E il Diavolo, Satana, il serpente, la tentazione, che il Padre nostro attribuisce anche a Voi?”.

“Sono forze divine, che voi necessariamente personificate. Le ho tratte dalla mia essenza, l’energia, prima della Creazione, affinché facessero da ‘intermediari’, ‘mediatori’ e annunciatori’ fra me e l’universo, e soprattutto fra me e l’uomo. Sono gli ‘angeli’, divisi, per così dire, in due fazioni: gli angeli preposti al bene e quelli preposti al male. Satana, in realtà, come si legge nel libro di Giobbe, è un aggettivo, preceduto dall’articolo, ‘il satana’, cioè l’avversario. E’ stato Tertulliano a farne una persona”.

“La Chiesa dice che il male non dipende da Voi, mentre Sant’Agostino sostiene che ‘non vi è uomo né diavolo né spirito infernale, che abbia virtù di nuocere senza la permissione divina’, aggiungendo che se Voi smetteste di tentarci cessereste di farci da maestro”.

“Il male risulta tale quando si guardano le cose e i fatti senza criterio, cioè separati fra loro, una cosa qua, un’altra là, un fatto qua, un altro là, come voi fate non solo con lo spirito e la materia, col bene e col male, ma anche col freddo e il caldo, con l’umido e l’asciutto e così via. E’ all’insieme che si deve guardare. Una cosa per essere perfetta deve racchiudere in sé tanto di bene e tanto di male. Lo diceva anche Dante, che in molte cose mi ha capito più di quanto non dica di conoscermi la Chiesa. Il male, poi, non danneggia e non distrugge la vita, al contrario l’edifica e la rafforza. Dimmi se un albero, che deve elevarsi magnifico nel cielo, possa fare a meno del maltempo e della bufera, se le ostilità e gli ostacoli esterni non costituiscano spesso una circostanza favorevole senza la quale sarebbe impossibile una grande crescita, anche nella virtù. Il veleno, che uccide i deboli, tonifica i forti, che non lo chiamano veleno. Per non dire che il male è una spinta al progresso, oltre che al raccoglimento interiore, al misticismo, alla santità. Il male spesso fa bene, è utile a certi fini. Atene cadde affinché il mondo potesse conoscere Platone”.

“E il coronavirus?”.

“Chi vivrà vedrà: ai posteri l’ardua sentenza. Non posso dirti altro. Ci mancherebbe che per ogni cosa che accade io debba dirvene prima il come e il perché. ‘Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza’: sono due cose che dovete conquistarvi voi, individualmente e collettivamente. E con questo ti benedico, e torna al tuo lavoro”.

 

O Padre mio, che in Cielo

e sulla Terra stai,

toglimi questo velo:

più non mi serve, ormai.

 

Fa’ sì che io Ti veda

in tutto il Tuo splendore,

prima che il cuore ceda,

pieno di tanto amore.

 

Per Te solo ho vissuto

tutta la vita mia,

in Te solo ho creduto

nella tortuosa via

 

che tutti a Te conduce.

Dovunque a noi dintorno

risplende la Tua luce:

non c’è notte né giorno

 

in cui Tu ti nasconda,

dentro o fuori di noi,

in ciò che ci circonda.

La vita, prima o poi,

 

a Te ci porta. Intanto

riceviti da me

quest’ultimo mio canto

prima ch’io torni a Te.

Aggiornato il 03 aprile 2020 alle ore 13:30