Il Coronavirus, le nuove frontiere del teatro: parla Violetta Chiarini

L’emergenza Coronavirus, se da un lato costringe milioni di italiani ad una pesante – per quanto necessaria – situazione di “arresti domiciliari”, dall’altro può rappresentare un’occasione importante per fermarci a riflettere sul senso della vita, il rapporto con Dio e con la natura, coi nostri cari e con tutti gli altri. Su questi temi ascoltiamo, nella sua casa di campagna nel Reatino, Violetta Chiarini, nome storico del teatro italiano. Attrice nel teatro di prosa e musicale, e per lo schermo, cantante e autrice di testi, la Chiarini – membro anche del Cendic, Centro nazionale di drammaturgia italiana contemporanea – ha creato spettacoli che salvaguardano forme espressive musical–teatrali patrimonio dell’identità europea: rimanendo sempre personaggio fuori dal coro, mai omologatosi alle logiche di mercato e di potere dello show-business.

Violetta, come stai vivendo questa situazione di “prigionia” che riguarda tutti noi?

Sto tesaurizzando lo stop a tutte le attività, comprese le relazioni sociali dirette, con un provvidenziale ritiro nella mia casa di Casperia, in provincia di Rieti, nella campagna sabina. Qui ho anche il mio Centro culturale “Piccolo Teatro del Violangelo”, col quale da oltre dieci anni svolgo attività di cultura, di spettacolo e di ricerca nel territorio.

Anni fa, tu hai creato l’Associazione “Terzo Millennio, Compagnia del Violangelo”, che ha presentato – in Italia e all’estero – performances di prosa e musica, assimilate dalla critica autorevole al Kabarett musical-letterario. Col Centro culturale, invece, collaborando anche con altre realtà, hai contribuito a salvare la memoria storica di forme di teatro musicale italiano ed europeo che rischiavano di scomparire e hai fatto conoscere meglio Casperia, uno dei borghi antichi più belli d’Italia. Quale attività, tra queste, ha maggiormente favorito l’evoluzione del tuo pensiero?

Il Violangelo è sempre stato il mio pensatoio, il “Buen retiro” contro lo stress metropolitano di Roma, Questo periodo di quarantena mi facilita una profonda riflessione sulla vita, mi stimola pensieri e considerazioni nuovi. E ripenso alle parole d’ un’intellettuale indiana sulla pandemia, quando dice che la natura, grande sperimentatrice, scarta le specie che non supportano l’intero sistema: in effetti, nel corso dei millenni sono scomparsi i dinosauri e altre specie, compreso l’uomo di Neanderthal. E noi umani siamo sicuri di sopravvivere per sempre, di essere di beneficio al sistema Natura?

Come ti sentiresti di rispondere?

È discutibile davvero, data la nostra crudeltà verso il pianeta Terra, a cui abbiamo distrutto piante e animali E mentre le altre specie animali uccidono solo perché minacciate o affamate, noi uccidiamo le altre specie non per sopravvivenza, ma per senso di superiorità e di dominio, quando non per solo piacere. Viviamo pensando di essere separati da tutti, in una disconnessione che ha, in ogni campo, le sue ripercussioni: vediamo infatti la violenza, figlia della paura, aumentare in ogni parte del mondo; ed ecco il dilagare del cancro, delle calamità naturali, del Coronavirus

Tutto ciò, mentre invece l’umanità da sempre, ben prima della rivoluzione telematica, è spiritualmente connessa con tutto il mondo e con le altre specie viventi. Forse, questa pandemia ce lo farà finalmente capire…

Ora o mai più! Dobbiamo capire che la solitudine è un’illusione, perché in realtà siamo tutti collegati da una rete di relazioni tra persone e cose. Ed è così che deponiamo le nostre armi interiori e diventiamo – per riprendere lo storico Discorso della montagna del Vangelo – costruttori di pace. Questo tema della rivoluzione interna ad ogni individuo – fulcro del pensiero del mio maestro spirituale Daisaku Ikeda (il filosofo e maestro buddhista giapponese, attuale presidente della Soka Gakkai International, ndr) – cerco di svolgerlo nello scrivere testi (anche poetici e saggistici) e nel preparare spettacoli basati appunto su questo messaggio: che non è affatto utopico.

Quale tuo nuovo progetto persegue questi obbiettivi?

Penso soprattutto al mio ultimo progetto Si vis pacem. Consta di tre spettacoli, due di prosa e uno musicale, diversi per forma, plot narrativo e linguaggio, ma accomunati da un denominatore comune, che è il capovolgimento del celebre detto latino “Si vis pacem, para bellum”: “Si vis pacem, para pacem!”. Il primo dei tre, Guerra mondiale e guerretta metropolitana, testo di prosa, affronta il tema guerra-pace in modo nuovo (col confronto tra situazioni della Seconda guerra mondiale e della Roma, violenta e stressante, degli anni Ottanta-Novanta), e ha debuttato il 28 dicembre al Teatro Comunale di Casperia, come vincitore del bando della Rasi (Rete artisti italiani per l’innovazione).

E cosa puoi dirci degli altri due spettacoli?

Il secondo, in prosa, si intitola Come il colibrì: è andato in scena in estratto, per esigenze di rassegna, al Teatro “Tordinona” di Roma per il Festival della drammaturgia italiana “Schegge d’Autore 2019”, in attesa di debutto integrale. Qui il tema della rivoluzione umana e della pace è trattato in chiave di empowerment femminile. La donna, sempre più protagonista del XXI secolo, madre dell’uomo, prende coscienza del suo potere di creare un essere umano nuovo, un condottiero di pace: deponendo nel cuore della sua creatura i semi della pace fin dalla più tenera età, e diventando così la chiave di volta per la formazione dell’umanità futura.

Tu hai sempre coltivato la passione per la musica, accanto a quella per il teatro: in questa tua “trilogia della pace”, è compreso anche il tuo modo particolare di far teatro con la canzone?

Non poteva mancare, nel mio progetto, un concerto-spettacolo: E la Violeta (no) la va a la guera, con riferimento al famoso canto alpino La Violeta la va la va. E’ frutto del mio lungo sodalizio artistico con Antonello Vannucchi, musicista di fama internazionale, tra i padri del jazz italiano, purtroppo recentemente scomparso. Lo spettacolo vuole ispirare una riflessione su tutte le guerre e sulla ricerca di una convivenza civile che bandisca ogni forma di sopraffazione e di violenza. Il repertorio è costituito da canzoni e canti legati alle lotte e i conflitti armati del Novecento europeo, rivisitati in una chiave nuova, ma sempre attenta alla valorizzazione del loro spirito originario: incastonati in un tessuto letterario in versi che ho scritto appositamente. Spero di tornare in scena, con questo spettacolo, quanto prima: sperando anche di uscire arricchiti da questa terribile esperienza della pandemia, proiettandoci così in un’epoca nuova.

Aggiornato il 02 aprile 2020 alle ore 13:53