Sabato scorso, alcuni amici in lieta e nobile compagnia giunti da un’altra regione, mi chiedono cosa poter vedere al di fuori dell’instancabile bellezza che offre Roma.

Suggerisco dunque loro di visitare il mitreo di Sutri e la zona archeologica che lo circonda in un abbraccio primaverile. Purtroppo la lieta brigata si imbatte in cartelli che segnalano la chiusura al pubblico dell’intero complesso. Presa dunque coscienza dell’impossibilità, li indirizzo alla visita del vicino paese di Bassano Romano, ove possono visitare lo splendido palazzo tardo cinquecentesco dei Giustiniani e degli Odescalchi, che potrebbe rivaleggiare per decorazioni musive, affreschi pregevoli e profumo d’antico, con la ben più nota Villa Farnese di Caprarola. La gioia, il piacere ed il godimento della bellezza profusa da quelle sale ha rinfrancato i loro animi e salvato un viaggio nella profonda provincia laziale, troppo spesso dimenticata dalle sue stesse amministrazioni sonnolente e pigre.

Questo semplice racconto, che null’altro ha se non il gusto di una giornata cominciata con una delusione e finita con la consapevolezza che soltanto l’arte, la bellezza e l’amore rendano questa vita degna di essere vissuta, mi ha condotto alla notizia, scontata, forse ovvia quanto banale, di una ricerca dell’University College di Londra, pubblicata sul British Medical Journal, che afferma che le persone che visitano le mostre d’arte, assistono ai concerti o vanno a teatro, godono di una aspettativa di vita maggiore di chi non fa tutto questo.

C’era bisogno di una “ricerca scientifica” per dirci ciò che era già ben noto ai tempi di Platone o di Lorenzo il Magnifico? Lo sapevano benissimo tutti i colti e ricchi stranieri che per secoli hanno compiuto il cosiddetto Grand Tour nelle italiche terre, nutrendosi d’arte, di cultura millenaria e di gioia di vivere. Quindi non soltanto con la cultura e con l’arte si mangia, ma si vive anche più a lungo, perché la bellezza è psicotropa, muove il cuore e la mente, ci dona la vita in un impulso che ci porta ad uscire dalle angustie di tutti i giorni. La University College ha scoperto l’acqua calda verrebbe da dire, ma forse la cosa non è così evidente a tutti e si finisce per credere che passare il tempo in una mostra, ad ascoltare un quartetto d’archi o nella platea di un’opera di Heinrich von Kleist, sia tempo perso, o comunque noioso, roba da vecchi pensionati. Qualcosa da fare per coloro che hanno tempo libero, come se il tempo non fosse da liberare a nostra cura. Soltanto noi possiamo togliere le catene ai giorni, scegliendo con chi stare, di fare qualcosa e di trarne piacere per il corpo e per l’anima.

Ecco cosa fanno quindi le opere d’arte, ci parlano, ci indicano una via e un modo di vivere migliore, perché quando siamo dinanzi a qualcosa che reca con sé la Bellezza, sappiamo subito riconoscerla a prescindere dalle nostre condizioni socioeconomiche, dalle nostre idee politiche, dal nostro titolo di studio o livello culturale, anche se ognuno può trovare più “bello” per il suo personale gusto qualcosa rispetto a qualcos’altro ed emozionarsi è soltanto il primo passo di un cammino, difficile ma non impossibile, verso l’Assoluto.

Amare l’arte e nutrirsene equivale ad annullare il tempo trasformandolo in spazio e a non temere più neanche la morte, perché in quelle opere umane vi è la forza vitale che dà la risposta alle domande che da sempre accompagnano i figli di Eva; è l’arca che contiene il “senso della vita”, è il Sacro Graal al quale può dissetarsi chi non è un bruto dedito soltanto alla sua personale sopravvivenza, perché “sopravvivere” non è dell’uomo ma della bestia.

Aggiornato il 19 febbraio 2020 alle ore 11:40