Opinioni a confronto: la fantasia al potere

“Che ne dici delle Sardine?”.

“Se non sono sott’olio non mi piacciono: sono insipide”.

“Mi riferivo alle Sardine con l’Esse maiuscola”.

“Ma se sono così minuscole che quasi non si vedono!”.

“Però messe insieme possono far molto”.

“Ma non hanno un contenuto. E neppure un contenitore: sono sciolte, non in scatola. E poi, qual è il loro scopo?”.

“Quello di scopare…”.

“Ah ah ah…, misura le parole”.

“Lasciami finire. Volevo dire di scopare via tutti i partiti, che non servono più. E poi hanno almeno un pregio. Non sono all’olio ma neppure all’odio. E questo è molto importante”.

“Ci provano. Come ci hanno provato Salvini e i Cinquestelle”.

“Sono più di settant’anni che stiamo a far le prove”.

“Ma questa volta, chissà. Hai visto mai! Provando e riprovando…”.

“È il motto dell’Accademia della Crusca”.

“Anche quella te la raccomando”.

“In che senso?”.

“Una volta un linguista molto noto, di cui non faccio il nome, ma che era un membro del ‘Comitato ministeriale per la salvaguardia della lingua italiana’, insieme a me e a Giovanni Nencioni, che allora era Presidente dell’Accademia della Crusca, mi disse testualmente: “Se uno si sveglia alla mattina e gli viene in mente una parola nuova, quella parola deve entrare nel vocabolario”. Come ‘petaloso’, inventato da un bambino”.

“Gl’Italiani, fra i tanti difetti, possiedono una grande dote, che non è così diffusa negli altri popoli: la fantasia. Ma il più delle volte ne fanno un cattivo uso. Fra le centinaia che può vantare la nostra storia politica c’è stato persino il ‘partito della bistecca’. Ora con le Sardine abbiamo raggiunto il massimo della nostra capacità inventiva”.

“Una volta c’era la Balena Bianca, la Democrazia cristiana. Abbiamo fatto un bel progresso! Ci siamo ridotti proprio male!”.

“Dobbiamo risalire alle origini”.

“Di che? Delle Sardine?”.

“No: del popolo italiano. Se si può parlare di popolo, perché persino il nostro inno nazionale dice che non siamo un popolo: Noi siamo da secoli calpesti, derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi. Anche l’inno nazionale: era provvisorio e dopo più di settant’anni siamo fermi ancora lì”.

“Il fatto è che gl’Italiani discendono da un miscuglio di popoli diversi che occuparono un tempo lo Stivale: per non dire di quelli preromani, ch’erano più di cinquanta, i popoli che all’alba della nostra storia occupavano le nostre regioni erano una quindicina: Liguri, Etruschi, Veneti, Latini, Umbri, Iapìgi, Ernici, Falisci, Opici, Volsci, Siculi, Sabini, Elimi, Equi, Sardi. Pensa un po’ che fantasia! Sono queste le ragioni (e le regioni) che dividono ancora gl’Italiani. Per i quali Dante non aveva molta simpatia”.

“In che senso?”.

“Nel De vulgari eloquentia, in cui in mezzo ai tanti dialetti, andava alla ricerca di una lingua comune, che almeno in questo campo potesse unire gl’Italiani, definiva ‘insipidi’ i fiorentini, dei milanesi e dei bergamaschi diceva ‘gettiamoli via’, i genovesi li chiamava ‘uomini diversi d’ogni costume e pieni d’ogni magagna’, definiva i romani ‘puzzolenti su tutti gli altri nei loro costumi’, degli istriani e degli aquileiesi diceva addirittura ‘crivelliamoli’, definiva i pisani ‘vituperio delle genti’, augurandogli di annegare tutti nell’Arno, e dei sardi (che non hanno niente a che vedere con le sardine) diceva ‘gettiamo via anche loro, perché non appartengono all’Italia, cercano d’imitare la grammatica come fanno le scimmie con gli uomini’”.

“Gl’Italiani molto spesso confondono la fantasia con la realtà e la infilano persino nella loro storia. Uno dei casi più eclatanti risale al primo dopoguerra: quelli che accesero la miccia della lotta civile furono i socialisti e i comunisti, non i fascisti, la cui reazione, come dissero illustri antifascisti, fra cui Salvemini, De Gasperi e Benedetto Croce, fu ‘legittima e a scopo difensivo’. Poi, caduto il Fascismo, i comunisti invertirono le parti: eroi del vittimismo, riscrissero la Storia, capovolgendo i fatti, riempirono volumi su volumi, facendo il prima il dopo, il vero il falso e così via. È su quei libri di storia, una storia fantasiosa, che si formarono le nuove generazioni, nate alla fine della guerra, dopo il ‘45, imbeccate dagli insegnanti, che come la maggior parte degli intellettuali, diventarono antifascisti”.

“Negli Italiani la fantasia è tale che dal 1948 in 17 tornate elettorali si sono presentati alle elezioni 380 partiti diversi, con un totale di 558 simboli e una media di 32 partiti per ogni elezione”.

“Fra i tanti passi indietro che ha fatto la Politica in Italia uno riguarda proprio la fantasia. La ‘fantasia al potere nacque nel Sessantotto. Ubriacati dalla libertà, dopo il crollo del Fascismo, gli studenti e i giovani lavoratori, con la loro fantasia la trasformarono in una licenza sfrenata. Oggi la politica italiana si regge sulle chiacchiere di allora. Il Sessantotto fu la dissoluzione di ogni legame comunitario: Dio, Patria, Famiglia, di mazziniana memoria, diventarono una schiavitù. Molti studenti, per liberarsene, come novelli partigiani, aspiravano a ritirarsi sulle montagne, del Tibet, dell’Himalaya, addirittura”.

“Tale fu l’ubriacatura della libertà che ai cosiddetti ‘costituenti’ non passò per la testa nemmeno l’idea di precisare nella Costituzione che cosa dovesse intendersi per partito, quali ne fossero la funzione e lo scopo: ‘ogni italiano un partito’ hanno sempre detto di noi gli stranieri”.

“L’Italia più che sul lavoro è sempre stata fondata sulla fantasia, in tutti i campi, anche nell’arte, bene o male, perché pure lì delle schifezze sono passate e passano tuttora per dei capolavori. Proprio nel Sessantotto uno slogan dei contestatori recitava: ‘Uno sgorbio vale quanto la Gioconda”.

“Fu il linguaggio a creare slogan che divennero comuni a tutte le classi sociali di quel tempo, formate da studenti, operai, piccoli borghesi, tutti in cerca di riconoscimenti per una rinascita che non si sapeva di che cosa: ‘Prima distruggiamo’, dicevano, ‘poi si vedrà’. Fu proprio a causa della fantasia al potere che i problemi da risolvere venivano sempre rimandati. Oggi quella situazione sta ripetendosi. Anche le Sardine hanno assunto il ruolo di rottamatori”.

“Sono i corsi e i ricorsi della Storia”.

“Ner modo de pensà c’è un gran divario:

mi’ padre è democratico cristiano,

e, siccome è impiegato in Vaticano,

tutte le sere recita er rosario;

de tre fratelli, Giggi ch’è er più anziano

è socialista rivoluzzionario;

io invece so’ monarchico, ar contrario

de Ludovico ch’è repubblicano.

Pè  via de ‘sti princìpi benedetti

famo l’ira de Dio! Ma appena mamma

ce dice che so’ cotti li spaghetti

semo tutti d’accordo ner programma”.

(Trilussa, La politica)

I contenuti sono affidati alla “Politica” che deve elaborarli lasciando alle sardine la capacità di risvegliare il senso dell’appartenenza alla comunità, in grado di non cadere nella trappola dell’odio e della banalità. Le sardine contribuiscono, in tale prospettiva, a cambiare la natura dei partiti che devono saper cogliere l’occasione per riassumere il compito di immaginare e di realizzare il futuro, abbandonando le sirene della ricerca del consenso attraverso perenni campagne elettorali, schiacciate sulla quotidianità. Le sardine possono facilitare la nascita di un’opinione pubblica, sollevando i partiti dalle ansie da prestazione e inducendoli a concentrarsi invece sulla creazione di idee e sulla capacità di portarle a termine. Certo, il metodo di questa nuova opinione pubblica delle piazze non sembra conciliabile con forme partitiche o movimentistiche di natura verticistica, dominate da garanti “supremi”, impegnati nel proteggere figure di vertice assai fragili, o con leader votati al culto della personalità tanto da dar vita a partiti personali perché solo nella dimensione collettiva una simile opinione è disposta a riporre fiducia. Forse, così, verrà meno davvero l’idea dell’uomo forte.

“Mi riferivo alle Sardine con l’Esse maiuscola”.

“Ma se sono minuscole, che quasi non si vedono!”

“Sì, ma messe insieme possono far molto”.

“Una volta c’era la Balena Bianca”.

“E infatti s’è visto la fine che ha fatto”.

“Ma le Sardine non hanno un contenuto. Quale è il loro scopo?”

“Quello di scopare…”.

“Ah ah ah, misura le parole”.

“Lasciami finire. Volevo dire di scopare via tutti i partiti, che non servono più. I parolai sono loro, non le Sardine. Le quali hanno almeno un pregio. Non sono all’olio ma neppure all’odio. E questo è molto importante”

“Ci provano”.

“Sono più di settant’anni che i nostri governi ci provano”.

“Ma questa volta, chissà. Provando e riprovando…”.

“È il motto dell’Accademia della Crusca”.

“Anche quella te la raccomando”,

“In che senso?”

“Una volta un linguista molto noto, di cui non faccio il nome, ma che era un membro del Comitato ministeriale per la salvaguardia della lingua italiana, insieme a me e a Giovanni Nencioni, presidente allora proprio dell’Accademia della Crusca, mi disse testualmente: “Se uno si sveglia alla mattina e gli viene in mente una parola nuova, quella parola deve entrare nel vocabolario”.

“Della Crusca?”

Aggiornato il 18 febbraio 2020 alle ore 17:46