Il capitano tedesco che salvò i tesori di Montecassino

Ricorre in questi giorni l’anniversario del bombardamento dell’abbazia di Montecassino.

Come scamparono alla distruzione i beni culturali custoditi all’interno del monastero? È interessante ricordare la storia di un giovane ufficiale medico tedesco a cui la comunità internazionale deve essere grata per essersi assunto la responsabilità di un salvataggio molto rischioso.

Maximilian J. Becker era il nome di questo ufficiale di Berlino, che oltre alla passione per la medicina, aveva seguito corsi di storia dell’arte che gli consentirono di partecipare a varie spedizioni archeologiche in Persia.

Lo scoppio della guerra lo trovò a Berlino ove fu arruolato come ufficiale medico militare. Nel 1943, divenuto capitano, è in Italia al seguito della Divisione corazzata Goering. In Sicilia vide personalmente le conseguenze dei bombardamenti alleati sui beni culturali e rimase sconcertato per la distruzione degli archivi di Palermo. Da ufficiale addetto allo Stato Maggiore godeva di una certa autonomia di movimento e per meglio esplorare luoghi di grande interesse culturale acquistò una vecchia Fiat 1100 cabriolet che riuscì ad imbarcare quando i tedeschi dovettero lasciare l’isola a metà agosto di quell’anno. A settembre il quartier generale del suo comando si sposta a Teano, anello della ben più estesa linea Gustav approntata per sbarrare l’avanzata alleata. Al centro del sistema difensivo stava Cassino e il sovrastante Monastero di benedettini.

Becker sapeva che nell’abbazia erano presenti non solo preziosissimi beni culturali appartenenti all’Ordine ma, in quanto simbolo religioso ritenuto sicuro dai bombardamenti, vi avevano trovato riparo anche opere provenienti da vari musei statali, tra cui il tesoro di San Gennaro giunto dalla Galleria Nazionale di Capodimonte, quadri dal Museo Keats di Roma e reperti dal museo archeologico di Siracusa.

Dopo un primo bombardamento di Cassino, deciso a cercare di evitare disastri cui aveva già assistito, Becker volle recarsi di sua iniziativa dal priore del convento, Monsignor Gregorio Diamare, per prospettare i pericoli che correva la struttura in caso di ulteriori sortite aeree e valutare insieme come poter mettere in salvo il patrimonio culturale in essa contenuta.

Diamare inizialmente si oppose convinto che l’abbazia non potesse divenire obiettivo militare ma di fronte all’ipotesi anche remota che i beni potessero andare distrutti chiese tempo al fine di decidere a seguito di una riunione con tutta la sua comunità monastica.

Contestualmente Becker riferì i suoi timori agli ufficiali chiave del suo stato maggiore e prospettò il piano che aveva in testa che vedeva coinvolto soprattutto il capo settore motorizzazione, ten. col. Siegfried Jacobi. Questo prevedeva nella prima fase la sistemazione dei beni in casse di legno che sarebbero state recuperate in una fabbrica di bibite che l’ufficiale aveva individuato nei pressi del Volturno. Successivamente i beni, una volta imballati e catalogati cassa per cassa dai monaci, sarebbero stati trasportati con una autocolonna di almeno cinquanta autocarri a Roma per essere messi al sicuro all’interno di Castel Sant’Angelo o presso la basilica di San Paolo fuori le mura.

Diamare non si fidava poiché riteneva che dietro il paventato nobile proposito di salvare le opere d’arte si nascondesse un piano per trafugarle e trasportarle in Germania per impreziosire la collezione di Goering, bulimico di tesori italiani, da cui peraltro la divisione degli ufficiali interlocutori prendeva il nome .

Becker e Jacobi cui si aggiunse un altro ufficiale che era nella vita civile spedizioniere di professione riuscirono a convincerlo proponendogli un viaggio prova mediante un solo automezzo con a bordo due monaci che una volta a destinazione avrebbero comunicato il buon esito del trasferimento.

Becker per scongiurare ogni possibile trafugamento aveva voluto dare il maggior risalto possibile all’operazione chiamando molti giornalisti alla partenza dei convogli e in particolare operatori cinematografici che filmassero anche la Messa che Diamare celebrò per ringraziare i comandanti che avevano concesso le necessarie autorizzazioni. Pensava che una maggiore pubblicità avrebbe dato grande lustro alle autorità tedesche che a quel punto si vedevano costrette a eseguire il piano di salvataggio senza possibili deviazioni.

Non fu sufficiente. I beni di proprietà statale, tra cui le opere della Galleria Nazionale e del museo archeologico di Napoli, per ordine di Goering furono depositate in un castello nei pressi di Spoleto. Becker ne fu informato e immediatamente contattò funzionari dell’istituto archeologico germanico e l’ambasciatore presso la Santa Sede, Ernst von Weizsacker. Una contestuale nota di protesta diplomatica inoltrata dal Sostituto Segretario di Stato, Monsignor Giovanni Battista Montini, indusse Weizsacker a chiedere all’ambasciata tedesca presso la repubblica di Salò di intervenire e attivare un’indagine.

Becker appurò che il generale Conrath, comandante della sua divisione, aveva ricevuto ordini da Berlino e conseguentemente aveva disposto un nuovo tragitto, all’insaputa degli ufficiali autori del piano di salvataggio.

La sua preoccupazione divenne certezza quando venne a sapere che alcuni dipinti, tra cui la Danae di Tiziano, erano stati prelevati dalle casse e approntati per essere spediti da Spoleto a Carinhall, residenza di campagna di Goering e minacciò di fare rapporto direttamente a Kesserling, comandante tedesco della capitale.

La sua azione coordinata con quella della Curia Romana e delle autorità diplomatiche tedesche condusse ad un buon esito della vicenda. Fu lo stesso feldmaresciallo Kesserling ad ingiungere al Comando della Divisione di riconsegnare le casse mancanti al Vaticano.

Becker pagò cara la sua caparbietà: convocato dai suoi superiori diretti fu accusato di essersi occupato di affari non attinenti al suo ruolo di medico militare e di aver avuto rapporti non autorizzati con autorità italiane ed ecclesiastiche. Lui si difese asserendo che “non aveva agito contro gli interessi tedeschi ma di aver operato per la civiltà europea”. Risposta che probabilmente non soddisfò il Comando che lo trasferì sul fronte russo.

Fu, pertanto, grazie al coraggio e alla sensibilità artistico-culturale di questo ufficiale medico tedesco che opere d’arte di inestimabile valore furono salvate non solo dalla distruzione di Montecassino, avvenuta nel febbraio 1944 a seguito di bombardamento americano, ma anche dalla depredazione dei propri connazionali.

Aggiornato il 17 febbraio 2020 alle ore 13:35