L’arte di Filippo Gervasi, dal figurativismo all’astrattismo

Dinamicità e vitalità, sono una costante dell’opera artistica di Filippo Gervasi, in un percorso che si evolve dal figurativo all’astratto. Nel periodo figurativo – dalla metà degli anni Sessanta alla metà degli anni Ottanta – l’artista si sofferma essenzialmente sulle nature morte e poi, – dalla metà degli anni Ottanta fino alla fine degli anni Novanta – su figure simbolico-immaginative, con lavori attenti a motivi religiosi, mitologici ed esistenziali. Nell’ultimo periodo – dalla fine degli anni Novanta ad oggi – compone opere astratte nelle quali il dato naturalistico si decompone e i colori vanno oltre la pura esteriorità, al fine di far riemergere i più profondi riflessi dell’anima, attraverso cromie che lasciano intuire tracce di segni ancestrali e stratificati, in bilico tra intuizione e razionalità, in un tempo indefinito. In una esposizione collettiva, allestita a Palazzo della Cancelleria, a Roma, potranno essere viste fino all’8 febbraio alcune delle opere di Gervasi, relative al periodo astratto.

Filippo Gervasi, nato ad Enna nel 1953, si trasferisce giovanissimo a Parigi dove si laurea in architettura ed inizia la sua vicenda artistica, nel fervore di un’atmosfera culturale che gli permette di assorbire gli echi più avanzati della ricerca estetica di quel tempo. Questo dato fondamentale della sua formazione si ritrova nell’intera raccolta dei suoi lavori, grafici, pittorici e di incisione. Il risultato, è un ben riuscito esperimento di comunicazione dei temi a lui più cari, attraverso le diverse tecniche, con integrazione di vari supporti e materiali, funzionali all’idea centrale dei suoi motivi ispiratori, rimanendo comunque sempre coerente nel suo stile.

Nel primo periodo – il figurativo – l’artista ennese predilige dipingere nature morte che rivelano il senso animistico e misterioso del reale: composizioni dipinte ad olio o con tecnica mista su tela, dove i singoli elementi – tazze, vasi o bottiglie, frutti raccolti e vegetali sradicati o recisi – sono disposti in un’armonia metafisica.

Filippo Gervasi ottiene notevoli consensi critici e notorietà nel periodo mitologico-religioso, con opere di notevole impegno ideativo, come L’ultima cena, La sfida, Venere, Il diluvio universale, lavorando, in questo periodo, con la tecnica della pirografia: traccia un disegno su una tavola di noce, che poi incide a fuoco, con la piromatita elettrica, ottenendo linee di diversa profondità, in modo da determinare un suggestivo effetto chiaroscurale, di rara bellezza.

Gradualmente l’artista, si libera di ogni riferimento realistico e si apre all’astrattismo: qui, i suoi quadri sono contraddistinti da forme, colori, linee, evocativi di movimenti, sentimenti e emozioni che affondano nel profondo della coscienza, rivelazioni imprevedibili di entità che sussistono in se medesime, come monadi.

Aggiornato il 03 febbraio 2020 alle ore 13:29