“Herzog incontra Gorbaciov”: un mito del cinema tedesco intervista l’ultimo segretario del Pcus

mercoledì 29 gennaio 2020


Un’ora e mezza di domande e risposte, sul filo del rispetto reciproco, ma anche del rifiuto dei luoghi comuni e della facile tentazione di leggere il passato con gli occhi di oggi. Queste, le caratteristiche principali di Herzog incontra Gorbaciov: il docu-film che Werner Herzog, “mostro sacro” del nuovo cinema tedesco (Aguirre, furore di Dio, Nosferatu) ha ricavato da una sua lunga intervista a Mikhail Gorbaciov, nel trentennale della caduta dei muri comunisti dell’Europa orientale. Intervista arricchita da filmati di repertorio, soprattutto sovietici (che mostrano impietosamente, tra l’altro, la gallleria di predecessori del segretario generale del Pcus, ridotti quasi a mummie, tenute in piedi dai vari assistenti personali: Leonid Brežnev negli ultimi anni, Jurij Andropov, Konstantin Černenko). E da interviste minori ad altri grandi protagonisti della storia anni ‘80-‘90, come Margaret Thatcher, Lech Walesa, George Shultz, segretario di Stato nell’amministrazione Ronald Reagan (1982-89). E Miklós Németh, premier ungherese dal 1988 al ‘90.

Il film, distribuito in Italia da Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection (ora incredibilmente proiettato, a Roma, in una sola sala, il “Dei piccoli” di Villa Borghese), coglie Gorbaciov ormai “a riposo”, alla guida della Fondazione che porta il suo nome (occupandosi soprattutto di ambiente e studi politico-economici). E ricorda – pur nella grande diversità delle situazioni – le altre storiche interviste di David Frost a un Richard Nixon ormai pensionato, diversi anni dopo il Watergate, e di Clinton Bailey, nel 1968, a David Ben Gurion, ritiratosi in un Kibbutz nel deserto del Negev. Colpisce immediatamente il contrasto tra la grande pacatezza dell’uomo Gorbaciov, ormai molto anziano (il 2 marzo compirà 89 anni), e il suo spirito tuttora combattivo, che traspare dalle risposte. Aleggia, sullo sfondo, il trauma per la morte precoce della mogie Raissa (stroncata dalla leucemia nel 1999, dopo un rapporto quasi cinquantennale), mai pienamente superato.

Herzog si sofferma particolarmente sul rapporto di Gorbaciov con la Germania: iniziato nel turbine della Seconda guerra mondiale, e proseguito sino al legame di ferro con la Ddr del Dopoguerra e, infine, alla nuova amicizia con la Germania riunificata dal 1990. Nativo di Privolnoye, sperduto villaggio del Caucaso nel distretto di Stavropol, Gorbaciov, figlio di contadini, con padre decorato sia come combattente che come lavoratore agricolo, nel ‘55 si laurea in legge a Mosca, e in seguito in economia agraria a Stavropol (1967). Avuti incarichi importanti nella Gioventù Comunista, scalati i gradini del Pcus sino a entrare nel Comitato centrale come responsabile per l’Agricoltura, il giovane funzionario dell’Apparatchik sovietico, negli anni ‘80, “sponsorizzato” da Yuri Andropov, capo del Kgb (nativo proprio di Stavropol), diviene membro effettivo del Politburo. L’11 marzo 1985, all’insegna di un netto ricambio generazionale nel gruppo dirigente del Pcus, Gorbaciov diviene Segretario generale del Partito, il settimo nella storia dell’Urss.

“Perestrojka” e “Glasnost”, il sogno di una graduale, ma significativa, democratizzazione del sistema sovietico senza rinnegare gli ideali del socialismo diventano, da allora, le parole d’ordine del nuovo Segretario e dei suoi stretti collaboratori. Herzog, con le sue domande, ricostruisce i successi di questa politica: il riavvicinamento iniziale dei cittadini al Pcus, le prime liberalizzazioni in economia e nei diritti di associazione, l’appoggio dato, di riflesso, alle analoghe correnti riformiste presenti nei regimi dell’Europa orientale; e soprattutto il contributo decisivo dato da Gorbaciov, insieme a Ronald Reagan. Alla distensione, che porterà, nel 1987, alla firma del trattato Inf sull’eliminazione dei missili a medio raggio dall’Europa.

Ma anche errori e insuccessi: le incertezze nella ristrutturazione dell’assetto federale sovietico, col conseguente risveglio delle spinte autonomiste di tante repubbliche, mai sopite, e le oscillazioni tra dialogo e brutale repressione (come, a gennaio del 1991, in Lituania e, in parte, in Estonia). Oscillazioni, beninteso, dovute, più che al carattere del leader sovietico, alla natura stessa del sistema, dove fortissima è l’opposizione degli ambienti burocratici e militari. Nel 1986, esplode il “caso Chernobyl”; nel 1989, l’intreccio tra spinte riformiste dei dirigenti, opposizione di massa delle popolazioni al sistema comunista, imposto dall’alto dopo la Seconda guerra mondiale, e “lavoro sotterraneo” di corrosione svolto per decenni dal’ Occidente porta in pochi mesi al crollo di quasi tutti i regimi dell’Est europeo. Ma stavolta l’Urss non reagisce come per Budapest ‘56 e Praga ‘68: “Sinché io siederò su questa poltrona – ripete in quei momenti Gorbaciov – non ci sarà un altro ‘56”.

Nell’ estate-autunno del 1991, infine, è il turno della stessa Urss. Herzog ricostruisce le vicende di quei giorni di metà agosto, col “golpe alla sudamericana” tentato dall’ala più conservatrice del Pcus e delle Forze armate contro il gruppo dirigente, e fallito soprattutto per l’opposizione nonviolenta di massa della gente, a Mosca e in altre città: senza, però, incalzare l’ex–segretario del Pcus sulle ambiguità del suo comportamento nei giorni passati con la famiglia, in mano ai golpisti, nella casa per le vacanze in Crimea. Vediamo, però, brani di una dichiarazione di Gorbaciov per la tivù sovietica, registrata di nascosto, a totale smentita della tesi, diffusa nei media dai golpisti, di sue dimissioni per gravi motivi di salute. A Natale del ‘91, appena quattro mesi dopo, l’Urss e il Pcus cesseranno di esistere, e il leader si dimetterà dal suo incarico. Un uomo che ha scritto la storia come pochi altri.


di Fabrizio Federici