“Rusina”, se la nonna di Calabria è una Dea

L’inizio? Molte volte lo si capisce dalla... fine! Esattamente a quanto accade in “Rusina” (in scena al Brancaccino fino al 26 gennaio), formidabile monologo di Rossella Pugliese, autrice, interprete e regista dello spettacolo e nipote vera di nonna Rosina, della quale racconta la storia in stretto dialetto calabrese (con finestre rapide, sottili e sfuggenti in una lingua italiana appena comprensibile), con la sola scenografia di una cabina-armadio alla Houdini, completata da una sedia e da un ceppo per il taglio della legna sistemati agli angoli opposti del palcoscenico. Ma davvero una lingua che non si comprende rende inutile e faticoso il godimento di uno spettacolo dal vivo? Sì e no. Del resto, se non hai orecchio e passione per la musica non potrai mai coglierne la bellezza. In fondo, gli artisti girovaghi del tempo antico, eretici scomodi scacciati da tiranni e signorotti e costretti a peregrinare in varie città europee, non recitavano in grammelot come ci ha insegnato Dario Fo nel suo celebre Mistero Buffo? Quindi, anche in Rusina che cosa è importante far passare? I contenuti emotivi della storia (bellissima, tra l’altro) di una donna della Calabria tradizionale che dedica la sua vita, dopo grandi tragedie, ad allevare e accudire la sua speciale nipotina che porta il suo nome, oppure la comprensione esatta del vocabolario utilizzato? La risposta (la seconda...) è ovvia ma solo e soltanto se, come si asserisce in logica, il suo vettore è in grado di veicolarci forti emozioni a carattere universale.

Questo vuol dire, fuori dal codice, che l’artista rende disponibile al suo pubblico delle chiavi emotive passepartout, di tipo metalinguistico e soprattutto gestuale. Allora, conta moltissimo quella nonna che si siede sguaiatamente a gambe larghe mostrando le sue cosce forti, tirandosi su la vestarella per non soffrire troppo il caldo, scoprendo la parte più intima dei suoi mutandoni, mentre attacca bottone con le vicine, grida ordini inascoltati alla nipote Rossella bimba scatenata come le forze libere della natura, tratta con i commercianti ambulanti per comprare il corredo alla nipote e acquistare oggetti indispensabili per la casa. Colpiscono nel segno quei suoi gesti parlanti, mentre tira fuori dal capiente “borsello” dell’incavo dei suoi grandi seni quelle poche, sudatissime lire destinate a pagare quei piccoli commerci, non prima di contrattazioni estenuanti (che fanno molto mercato mediorientale dei suk di Marocco e Turchia) con gli astuti commercianti. Rusina è l’immagine allegra della fatica, dell’accudimento partecipativo e intenso verso la nipotina e un marito non amato ma profondamente rispettato che passa l’intera giornata a lavorare nei campi. Rusina è le sue mille smorfie che decodificano fastidio, meraviglia, dolore e finto malumore, come quando invia la sua nipote pestifera a scusarsi con la vicina per averle rotto un vetro della finestra, gesto dissacratorio comune a tutti i veri monelli di questo mondo.

Il carattere forte dell’umanità sconfinata Rusina è sintetizzato dalle mosse caricaturali che fanno muovere il posteriore come quello di un topolino; da quel suo camminare lento e strascicato mentre litiga e discute con i personaggi autentici del suo piccolo mondo contadino. Rusina è la persona intensa che confessa al marito defunto, in un bellissimo passaggio di vecchia alla soglia dell’addio a questo mondo, di non averlo mai amato sostituendo alla passione l’affetto affidabile e costante, ripercorrendo il momento del loro incontro, la grandissima pazienza di lui nel lungo corteggiamento che venne concluso con il gesto del suo spasimante che, stanco di aspettare, le sciolse con un rapido gesto i capelli facendole capire lo stato del suo innamoramento mentre quella chioma sciolta fluiva sulle spalle di Rusina impetuosa e scompigliata dal vento. Sempre lei, confessa la sua sconfinata disperazione quando si trova a vedere nascere morto l’adorato figlio maschio, mentre un’altra figlia adulta non sopravvive alle doglie mettendo al mondo la sua Rossella. Poi, un inserto sorprendente di una Rusina giovane e sciantosa, che si guadagna da vivere in qualche locale napoletano attirando clienti o quando, in là con l’età, lascia andare nella Capitale alla ricerca di migliore fortuna (perché qua non c’è niente) la sua adorata nipote, sua unica erede testamentaria. La morale è chiara: libera il tuo Terzo Occhio e vedrai che, senza accorgertene, lui ti aiuterà a vedere e capire tutto ciò che apparentemente ti sfugge!

 

Aggiornato il 24 gennaio 2020 alle ore 16:34