Eccidi partigiani: per Montanari Pansa si è inventato tutto

Tomaso Montanari è un apprezzato storico dell’arte, saggista con centinaia di pubblicazioni, professore ordinario di storia dell’arte moderna, presidente del comitato scientifico per le belle arti del ministero dei beni Culturali. Da giornalista scrive per la Repubblica e Il Fatto Quotidiano. Le sue opinioni le si possono ascoltare in ogni canale.

Pare, pertanto, impossibile che un uomo di tale levatura intellettuale possa aver sostenuto che i libri di Giampaolo Pansa a partire da “Il sangue dei vinti” siano opera di un falsario e che siano “testi privi di qualunque valore cognitivo, pieni di coscienti omissioni, falsificazioni, disonestà intellettuali di ogni tipo”.

Ragionando in questo modo l’intellettuale Montanari è sceso dal piedistallo per uniformarsi a tutti coloro che chiacchierano senza dati alla mano, ora facilmente consultabili in qualsiasi sito specializzato del Ministero della Giustizia o di storia giuridica del nostro Paese.

Pansa, come oramai molti storici obiettivi, ha fatto emergere che talune stragi commesse in nome della Liberazione non sono state così diverse dalle efferatezze fasciste. In particolare con il suo libro più famoso menzionato dal Montanari porta alla luce esecuzioni e crimini compiuti dai partigiani dopo il 25 aprile 1945, ad avvenuta Liberazione, verso fascisti, sospetti tali o solo inconsapevoli professionisti. Ha descritto quello che fino all’uscita del libro era un tabù e cioè che bande partigiane avevano ucciso persone innocenti sulla base di semplici sospetti o, nel caso di carabinieri e sacerdoti, sotto la spinta di un cieco odio ideologico.

Nessuno, in ottica diversa da quella di Montanari, nega che la Resistenza è stata condotta anche da forze moderate, spinte dai più nobili ideali, composte da militari, intellettuali, liberali e cattolici. Gente che ci credeva davvero ma purtroppo impotente di fronte a taluni ordini di operazioni ove veniva disposto che i prigionieri dovevano essere uccisi, anche se feriti e, qualora utili per gli interrogatori, giustiziati dopo tre ore.

Il povero colonnello dei carabinieri Edoardo Alessi, fondatore dei carabinieri paracadutisti, era comandante provinciale di Sondrio quando si rifiutò di prestare giuramento al governo di Salò per passare a guidare la divisione Valtellina. Fu ucciso il 26 aprile, da fuoco amico, partigiano, proprio perchè si era opposto ad uno di quegli spietati ordini di operazioni e voleva imporre regole di rispetto dei diritti umani anche nella condotta della guerra della Resistenza.

A Porzus i partigiani di orientamento cattolico-liberale della Brigata “Osoppo” furono uccisi dai partigiani delle Brigate Garibaldi solo perchè si opponevano ai disegni di contiguità con le milizie jugoslave di Tito cui anelavano i criminali autori della strage. Sempre alle Brigate Garibaldi sono attribuite – non da Pansa – altre stragi ben note per efferatezza come quelle di Schio, Oderzo, Mignagola, Pieve di Cento, ecc..

La procedura prevedeva che gli omicidi fossero preceduti da torture e sevizie.

Anche molti giornalisti fecero la stessa fine solo per aver denunciato le violenze registrate nel cosidetto “triangolo della morte”, area nell’Emilia ove, non fidandoci di Pansa e ricorrendo alle stime dell’allora prefetto di Modena Giovanni Battista Laura, si verificò il più alto numero di omicidi politici a matrice partigiana.

Gli eccidi avvenuti anche molto tempo dopo il 25 aprile sono ben difficili da spiegare con le esimenti del diritto bellico e sono la dimostrazione che molte formazioni combattenti avevano ben altri disegni non proprio coerenti con la liberazione nazionale.

Montanari non perda tempo a leggere Pansa se lo ritiene un falsario e analizzi tutti quei procedimenti giudiziari contro i partigiani imputati per fatti legati alla Resistenza ma giudicati come crimini di diritto comune.

In quei processi, definiti nel loro complesso “alla Resistenza”, confluirono accuse di omicidi commessi non solo da autori “in lotta contro il fascismo”, ma anche riconducibili a motivazioni diverse quali rapina, vendetta personale e odio di classe. Vi furono condanne che vennero meno a causa dell’amnistia Togliatti, di cui beneficiarono tanto i criminali partigiani che quelli fascisti. La stessa poneva una distinzione tra i fatti criminosi compiuti entro il 31 luglio 1945 e quelli avvenuti successivamente, riconoscendo la non punibilità degli autori di reati sino all’omicidio commessi entro quella data – poco più di tre mesi dal 25 aprile – spartiacque per considerarli uno strascico della guerra conclusa. Una sorta di esimente per avere usato le armi giunta sotto forma di amnistia cui poté confluire ogni fattispecie di reato non necessariamente collegata al conflitto.

La storia di quegli anni, come si vede, è molto complessa e chi divide ancora tra buoni da una parte e cattivi dall’altra è solo accecato da odio unilaterale, atteggiamento consentito all’uomo qualunque ma non a intellettuali del calibro di Montanari che con il loro eloquio trascinante hanno il dovere di documentarsi e rappresentare i fatti nella loro oggettività. Proprio come con grande onestà ha fatto Pansa.

Aggiornato il 22 gennaio 2020 alle ore 12:05