“Diana e la palpebra di Dio”

Dio come ci vede? Sant’Eucherio di Lione nel suo saggio teologico “Formule dell’intelligenza spirituale” sostiene che: “Le palpebre di Dio sono i suoi giudizi, che scrutano i figli degli uomini: questi giudizi sono ininterrotti e mai intralciati dall’oscurità delle cose; sono confermati dalla conoscenza anche se ancora non emessi”. Da questo significato va cercato il senso dello spettacolo “D La principessa Diana e la palpebra di Dio”, andato in scena al Teatro Brancaccino dal 9 al 12 gennaio scorso, in cui Paola Giorgi racconta la sua personalissima storia di “Lady Diana” mentre osserva dall’Aldilà gli eventi terreni e cerca un dialogo disperato con i suoi figli che la chiamano e la piangono in questo mondo.

Lo spettacolo sarà successivamente in tournée ad Ancona (18 gennaio, Teatro Sperimentale), Fabriano (29 febbraio, Teatro Don Bosco) e in altre località italiane fino al 21 marzo. Il testo colto e delicato di Cesare Catà è una rilettura del dramma della Principessa di Galles attraverso la costruzione di analogie con figure retoriche classiche impregnate di grande drammaticità etica come Medea, Arianna, Antigone e Artemide, richiamate in scena attraverso una voce recitante che legge in greco estratti da Euripide, Ovidio, Sofocle, Seneca. Disordine alimentare e sentimentale sono gli armigeri del mal di vivere, la cui vergine di ferro si chiude con le sue punte d’acciaio sulla personalità fragile di chi ama la vita ma non è riamata dal suo mondo rigidamente formale.

Perché, si sa, a Corte i Principi godono delle arti amatorie delle favorite, onde per cui regine e principesse fanno finta di nulla ricambiando i loro consorti con altrettante disattenzioni e tradimenti, di cui tutti gli interessati però fingono di non sapere. Ma Diana, no: sa e non tollera. Si uccide di dolore e cerca in ogni modo con i suoi disturbi alimentari, la bulimia, i litigi, le fughe e le notti insonni di richiamare l’attenzione della famiglia di Carlo, provando a rimettere con il cibo l’amaro veleno coniugale che suo marito le dispensa con regolarità e noncuranza, mentre la Regina madre, titolare dell’Ufficio di Capo di Stato, non fa che disprezzarne la fragilità e i comportamenti disdicevoli che mal si adattano con lo status nobiliare. Molto intensi, in tal senso, sono i dialoghi con le voci fuori campo di Carlo ed Elisabetta, in cui il primo, che fu innamorato (forse) di Diana per un solo giorno, la scelse come si farebbe con una puledra di razza, indisciplinata fattrice di buoni figli destinati a ereditare il trono d’Inghilterra. La Regina, invece, la censura aspramente perché non all’altezza dei suoi compiti reali, malgrado i successi di Diana in campo umanitario come quelli per la messa al bando delle mine antiuomo e la lotta all’Aids nei Paesi in via di sviluppo. Del resto, nel ruolo di principessa di Galles e secondo il protocollo reale Diana era tenuta a fare regolari apparizioni pubbliche in ospedali, scuole e altre strutture, partecipando a innumerevoli eventi per raccogliere fondi a favore di associazioni di carità.

L’incontro decisivo con Carlo alla famosa partita di polo ebbe per tema del colloquio la scomparsa dello zio, Lord Mountbatten, ucciso dall’Ira nel 1979, al quale il principe era particolarmente affezionato. In quell’occasione, una Diana appassionata e consolatoria attirò l’attenzione di Carlo tanto da spingerlo per una forma di riconoscenza a coinvolgerla con una frequentazione regolare fatta di inviti a teatro, ricevimenti sul Britannia e soggiorni presso la residenza scozzese di Balmoral. Per una giovane donna innamorata del ballo, impulsiva e sostanzialmente ribelle, il matrimonio con Carlo fu davvero un errore madornale anche a causa di un suo errore iniziale di valutazione: sapeva già dall’epoca del suo fidanzamento della passione del marito per Camilla ma la sua ingenuità la portava a pensare che quella storia sgradevole sarebbe finita dopo il matrimonio. In quel suo ménage tormentato Diana non trovò mai una sponda nella Regina per lenire il suo grande dolore di moglie pubblicamente tradita, ma venne costantemente redarguita da Elisabetta per aver mancato ai suoi doveri sovrani, perché il bene dell’Inghilterra e della Corona veniva molto prima e stava ben al di sopra dei sentimenti personali. Non poteva che finire tragicamente, come in effetti avvenne.

Aggiornato il 17 gennaio 2020 alle ore 12:33