“Rottamazione di un italiano perbene”, quando il volto del fisco è quello di tua suocera

lunedì 13 gennaio 2020


Le tasse sono belle? Provatelo a dire a chi muore disperato a causa dei debiti contratti con lo Stato, il quale ha come arma “fine di mondo” le cartelle esattoriali! Anche stavolta Carlo Buccirosso, nel suo imperdibile spettacolo La rottamazione di un italiano perbene, in scena alla Sala Umberto di Roma, fino al 19 gennaio, centra un argomento socialmente e politicamente sensibile parlandoci della palude fiscale e delle sue sabbie mobili, in cui ogni anno restano imprigionati centinaia di migliaia di italiani, per l’appunto, “Perbene”. Coloro cioè che vivrebbero infinitamente meglio e svolgerebbero molto più sereni il proprio lavoro se solo avessero di fronte a sé uno Stato dal volto umano e non la sanguisuga che toglie linfa, investimenti, gusto del rischio e passione imprenditoriale a milioni di piccoli artigiani, commercianti e aspiranti Partite Iva che, volendo mettersi in proprio, finiscono per diventare evasori provetti fatturando il minimo indispensabile e avvalendosi di lavoro in nero per sopravvivere. Lo spettacolo è sostenuto da un cast sempre all’altezza del ritmo elevato della comicità voluta dal testo di Buccirosso, in cui le battute dei vari personaggi di primo e secondo piano si configurano in base a una polifonia sapientemente organizzata ricorrendo a una sorta di “cromatolinguistica”, in cui si sovrappongono l’italiano storpiato del filippino di casa che obbedisce in pratica solo a se stesso, abbinato alle esilaranti battute in dialetto napoletano della figlia Viola (Elvira Zingone) e degli altri membri della famiglia.

Dunque, il protagonista Alberto Pisapia (Buccirosso), gestore del ristorante il Picchio rosso in via di fallimento a causa del notevole arretrato fiscale da versare allo Stato, ha una moglie, Valeria Vitiello (Donatella De Felice) e due figli, Matteo (Giordano Bassetti) e Viola che lo circondano di affetto sincero e devoto. Il problema sono, invece, i parenti stretti di Valeria: sua sorella (Fiorella Zullo) che ha una vera ossessione per la camomilla a suo dire panacea di tutti i mali fisici e spirituali, sposata infelicemente a Ernesto (Gennaro Silvestro) avvocato rapace, intrigante e disonesto nell’amministrare in qualità di socio i beni e gli affari della famiglia di Alberto; la suocera Clementina (Tilde de Spirito) che, agli occhi di Pisapia, rappresenta e sintetizza l’infamia dello Stato predatore, essendo funzionario preposto al locale ufficio dell’Agenzia delle Entrate. Bene, un bel giorno il padrone di casa decide che non ne può più di essere tormentato dai debiti con il Fisco e decide di farla finita con una buona dose di barbiturici. Dopo le prime cure di emergenza, in attesa che riprenda conoscenza, si alternano sul suo letto tutti i familiari di casa compreso il prete amico di famiglia. Da qui inizia tra sogno e realtà il vero spettacolo che si avvale in notevole misura della funzione onirica per costruire vendette paradossali, con cui si attenta in svariati modi alla vita dell’odiatissima suocera e si immagina di smascherare un sospetto adulterio di Valeria con il cognato Ernesto, detestato con pari intensità da Alberto e Viola.

Ovviamente, a pagare pegno con tanto di bastonatura è la figura porta sciagura del postino (Davide Marotta), ambasciatore di statura assai piccina, incaricato della consegna delle mortifere cartelle esattoriali emesse sadicamente da quello Stato patrigno e sfruttatore spietato che ha il volto orripilante della suocera Clementina. Il tempo trascorre così tra l’incubo e la farsa, cadenzato dalle iniezioni calmanti per tenere a bada i ribollenti spiriti di Alberto che se la prende con il postino Pollicino, che però dimostra un grande carattere di lottatore non perdendosi una sola, sagace battuta di risposta per controbattere le invettive del suo accusatore, mentre un filippino di certo immaginario (la condizione debitoria della famiglia di ristoratori non consente di avere domestici in busta paga) sfida tutte le regole di buon senso fraintendendo sistematicamente gli ordini di Alberto ma non quelli di Viola che, in dialetto stretto e sintetico, traduce per lui le disposizioni tiranniche di suo padre. Una perfetta macchina scenografica consente infine ai vari personaggi di passare dalle faccende domestiche e dall’accudimento paziente del capofamiglia, all’organizzazione di un evento a inviti gratuiti per il rilancio del Picchio rosso. Nel frattempo, si ride amaramente di cuore dalla prima all’ultima scena.


di Maurizio Bonanni