“L’uomo del labirinto”, ma perché gli scrittori vogliono fare i registi?

giovedì 31 ottobre 2019


Per la seconda volta in due film lo psicologo che aiuta i detective a profilare i serial killer è anche il serial killer. E per la seconda volta in due film, al contrario che per i libri da cui detti film sono stati tratti, lo spettatore lo capisce nei primi dieci minuti. Donato Carrisi: perché?

Ma la vera domanda è la seguente: a Dustin Hoffman chi glielo ha fatto fare a recitare a fine carriera o quasi in un ruolo come quello dello psyco-serial killer nell’inguardabile “L’uomo del labirinto”, sceneggiato e diretto dallo scrittore Donato Carrisi e preso dall’omonimo libro che invece è bellissimo? E poi ci sarebbe un’altra questione: perché alcuni scrittori vogliono a tutti i costi fare i registi dei film tratti dai propri libri? Forse solo perché li producono e ci mettono quindi i soldi attraverso case di distribuzione create quasi ad hoc? E infine: perché programmi radiofonici di grande levatura come “Hollywood party”, vere e proprie bibbie del cinematografo, si prestano a parlare bene di pellicole di cui invece si dovrebbe parlare malissimo? Ai posteri e agli spettatori le ardue sentenze. Ma chi scrive si dichiara vagamente indignato della presa in giro durata quasi due ore, che non solo non è stata gradita ma che ha tolto anche la voglia di godersi l’audiolibro lasciato a metà. E fin qui molto, ma molto apprezzato. Peccato che i libri e i film tratti dai medesimi non sempre coincidano. Specie se a tradurre le ottime idee, nella fattispecie di Carrisi, sul grande schermo è lo stesso scrittore che, anche nel precedente film da lui girato e tratto sempre da un suo libro – film comunque almeno guardabile – “La ragazza nella nebbia”, aveva evidenziato tutti i propri limiti nel settore regia e dintorni.

E a parlarne comunque bene non solo si fa la figura di chi confonde le marchette con la realtà, ma nemmeno si aiuta a far evolvere chi comunque sia non è detto che debba “nascere imparato” nella redazione delle sceneggiature e tanto meno nell’arte di girare i film. Questa pellicola purtroppo è una vera e propria Caporetto, senza arte né parte, dove riescono a recitare male sia Dustin Hoffman nel ruolo del serial killer sia Toni Servillo in quella del detective privato malato di cuore. Per non parlare della vittima, Valentina Bellè, incastrata in una parte dalla quale era quasi impossibile uscirne bene.

Certi film rappresentano solo occasioni sprecate. Perché quando il libro è bellissimo e la pellicola è bruttissima e l’autore è lo stesso c’è veramente qualcosa che non va nella maniera di produrre e di realizzare i film italiani.


di Dimitri Buffa