“Downton Abbey”, affresco di un’epoca di persone d’onore

lunedì 21 ottobre 2019


Alla Festa del Cinema di Roma è stato presentato il film tratto dalla serie tivù Downton Abbey. Il lungometraggio diretto da Michael Engler, in sala dal 24 ottobre distribuito dalla Universal, riprende e prosegue le vicende dell’aristocratica famiglia Crawley rappresentata nell’omonima serie televisiva anglo-statunitense in costume, coprodotta da Carnival Films e Masterpiece per il network britannico Itv e per la Pbs, televisione non-profit statunitense. La serie, ideata e principalmente scritta dall'attore e scrittore Julian Fellowes, è ambientata fra il 1912 e il 1926, durante il regno di re Giorgio V, nella tenuta fittizia di Downton Abbey nello Yorkshire.

“In tempi di Brexit, in cui abbiamo leader ai quali sembra mancare la dignità, è rassicurante rifugiarsi nell’epoca di Downton Abbey, fra uomini e donne d’onore con tradizioni e valori”. È questo il pensiero di Jim Carter, interprete di uno dei personaggi più amati del racconto, il maggiordomo Carson.

Tornare insieme “è stata come una grande riunione di famiglia, è un po’ come se non ci fossimo mai lasciati. Rifare tutto per il grande schermo è stato un privilegio, come l’accoglienza che stiamo ricevendo” spiega Michelle Dockery (l’indomita Lady Mary Talbot) e non è escluso che il racconto prosegua. “C’è già fra noi la febbre per un nuovo sequel, chi lo sa – aggiunge l’attrice –. Se la gente continua a mantenere il proprio entusiasmo, un altro film è possibile”.

La trasposizione conferma l’affetto globale per la serie che in sei stagioni, dal 2010 al 2015, ha raccontato vite, amori, cambiamenti, fra pace e guerra, dal 1910 al 1926, degli aristocratici Crawley, guidati da Robert, Conte di Grantham (Hugh Bonneville). Il film, che riprende più o meno da dove la serie aveva lasciato il pubblico, a fronte di un budget di poco più di 41 milioni di dollari ne ha già incassati nel mondo oltre 156 milioni.

La storia, tra sottile ironia e più linee di racconto incrociate, prende il via con una lettera da Buckingham Palace, che annuncia ai Crawley la prossima visita a Downton Abbey dei monarchi, Re Giorgio V (Simon Jones) e la Regina Mary (Geraldine James). Un arrivo che nella famiglia fa prevedere, tra le tante conseguenze, un nuovo scontro, per una questione di eredità, fra la contessa madre Violet (la sempre straordinaria Maggie Smith) e sua cugina, Maud (Imelda Staunton) dama di compagnia della regina. Parallelamente, tra la servitù la notizia porta due terremoti: il ritorno temporaneo come maggiordomo di Carson (Carter), che era andato in pensione al posto del recentemente promosso Barrow (Robert James-Collier) e la ‘presa di potere’ sui preparativi a Downton Abbey, da parte del personale dei reali.

Tra attentati, figli segreti e nuovi amori, il racconto si snoda con la consueta classe. “È una fantasia romantica di due ore, che ci fa sfuggire per un po’ dagli orrori a cui assistiamo”, sottolinea la pluripremiata Imelda Staunton, moglie nella vita di Jim Carter, felice di entrare nel cast. “Era importante per tutti noi fare qualcosa che i fan considerassero un ritorno a casa, ma che potesse far sentire anche a chi non avesse mai guardato la serie di poter entrare in quel mondo – dice il regista –. Ci sono nel racconto archetipi che tutti noi possiamo comprendere, dal rapporto con il capo a quello con colleghi ansiosi o difficili a persone che vanno dritte verso un obiettivo o con un carico difficile da sopportare”. Il film ha voluto esaltare il valore cinematografico della serie e per la massima veridicità nel mettere in scena rituali e tradizioni ha avuto tra i consulenti anche un esperto che ha lavorato a Buckingham Palace.

“Abbiamo avuto l’idea del film già dalla terza stagione – dice il produttore Gareth Neame –. Non volevamo che la serie andasse avanti a oltranza, ma visto che era così amata in tutto il mondo per la sua qualità dagli attori alle ambientazioni, pensavamo che sarebbe stata giusta anche una trasposizione per il grande schermo, soprattutto per ripagare l’affetto dei fan”.


di Eugenio De Bartolis