Credersi qualcun altro? O essere scambiati per un’altra persona? Nel film Il mio profilo migliore (pessima traduzione italiana dal titolo originale già scarsetto Celle que vous croyez ovvero: Quella che credete io sia, dal 17 ottobre nelle sale italiane) il regista Safy Nebbou dirige una superba Juliette Binoche (Claire Millaud) nella costruzione di un complesso gioco di specchi, tirandone i fili interni come si farebbe con una marionetta del Teatro dei Pupi siciliano, la cui cura e tensione emotiva è affidata alla sapienza di una navigata psichiatra, Catherine Bormans, interpretata da una perfetta Nicole Garcia. Claire viene accuratamente sezionata nei suoi movimenti interni e nei comportamenti esterni su più piani intellettivi: il reale; la visione onirica; l’analisi freudiana delle pulsioni confuse di colei che vive tra menzogna e verità pur di arrestare il tempo che scorre.

Tempo che, come le correnti ora lente ora impetuose di fiume, trascina alla foce i ricordi e li diluisce disperdendoli definitivamente, sedimentandone altri sulla riva opposta alla coscienza, ma sempre e comunque portando nel nostro vissuto cose nuove, belle o brutte che siano. La storia appare banale nella sua scontata ouverture: una cinquantenne ancora molto bella, coltissima, professoressa universitaria di letteratura comparata, crede di rubare la gioventù ai suoi ben più giovani amanti con le gioie di una sessualità più esperta e sensuale e, soprattutto, con il suo spietato e fuori concorrenza fascino intellettuale.

Nell’era del virtuale, del digitale espanso (a saturazione di ogni spazio di attività, di pensiero e di azione delle nostre vite quotidiane) che cosa c’è di più semplice che costruirsi l’opposto di un Frankenstein, rubando letteralmente le sembianze femminili di un’avvenente giovane nipote pur di alimentare il quotidiano di un profilo “Fake” di Facebook? Fino all’inizio del secolo, queste disgraziate democrazie rappresentative al tramonto avevano conosciuto l’epoca delle passioni tristissime dei mediocri (descritte con assoluta precisione da Miloš Forman nel disegnare il suo personaggio del maestro Salieri in Amadeus Mozart) per fare posto universalmente a quelle dei banali volgari.

La febbre da social è questo: erigere sé stessi a protagonisti di un insieme vuoto di ragionamenti, analisi e passioni, inondando di gesti quotidiani assolutamente banali (che cosa mangi, con chi stai, che cosa pensi e dici in questo momento) tutto ciò che ti circonda. Non sei. Non hai il tempo di essere. Vivi. Trasudi te stesso. Non lo educhi. Lo nutri di calorie vuote di non pensiero: perché tutto è “adesso” l’attimo che consuma, esaurisce l’attimo precedente. Il Nulla che trionfa e dilaga. Un requiem per l’intelligenza: che riposi in pace! Nebbou conosce la trappola e la evita accuratamente, sistemandosi nell’osservatorio privilegiato del punto di vista dei ricchi borghesi. Giovani, come meno giovani.

Lui non ne fa una rete a strascico. No. Punta al bersaglio grosso per indagare le funzioni della psiche, quando cioè il paziente mente spudoratamente al suo analista e ne cerca disperatamente il contro transfert, per carpirne le emozioni che lei da paziente le fa provare nel suo intimo profondo con i suoi racconti semifalsi, volendo attirarla nella stessa botola esistenziale in cui sprofonda il suo subconscio, che trasforma gli affetti sacrali di una donna (i suoi due giovanissimi figli, ben più simpatici e sani di lei) in un riempitivo, quasi un sottile fastidio perché le loro esigenze si mettono di traverso al suo sogno-bisogno.

Così, as usual, il tempo assorbito dalla gestione del suo avatar è frutto dell’energia della sua ossessione, dell’amore impossibile per il suo Adone Alex Chelly (François Civil), traumatizzato dalle sue fughe nel presente, perdutamente innamorato di “Colei che non c’è” che vive nel suo immaginario come in quello della sua Mangiafuoco, in cui però la brace del desiderio inconsumato è la Camicia di Nesso che soffoca la Burattinaia quando crede di averlo perduto, scrivendo per esorcizzare quella fine drammatica un epilogo opposto ricolmo d’amore, di passione e di grande scrittura. Ma per fortuna che c’è la dottoressa Bormans, terapeuta e quasi madre di quella sciagurata creatura mal nata durante le sedute vis-à-vis, che piega il Destino al senso delle cose.

Aggiornato il 16 ottobre 2019 alle ore 16:51