I “lieto fine” dei film di Tarantino

Chi l’avrebbe detto? Anche a registi che fanno della rappresentazione grottesca della violenza e dello “splatter” la propria cifra cinematografica, come Quentin Tarantino, tutto sommato piacciono i “lieto fine”. Naturalmente secondo i canoni della sua stessa premiata ditta.

Nel caso di “C’era una volta a Hollywood”, addirittura, forzando l’epilogo di una storia tragica come quella di Sharon Tate uccisa nell’agosto del 1969 da fanatiche adepte hippy della setta di Charles “Satana” Manson nella villa di Cielo Drive di Roman Polański con modalità da film dell’orrore. Il film di Tarantino, preparatevi a due ore e 41 minuti di turbolenze intellettuali, è di fatto una satira sui miti di Hollywood a cominciare dagli western Usa. E segnatamente sull’eterna competizione con gli spaghetti western.

Leonardo Di Caprio e il suo stuntman Brad Pitt sono una coppia destinata al declino perché l’attore western impersonato da Leo è sempre un “bad guy”, uno che alla fine viene sconfitto dal buono. E quindi la sua carriera in prospettiva, almeno a sentire i sermoncini del cinico impresario impersonato nel film da Al Pacino, è tutta impostata verso l’oblio. Per questo alla fine dopo un lungo tira e molla decide che può andare a girare gli spaghetti western con Sergio Corbucci e altri campioni del genere nazionale allora agli esordi. Siamo infatti nel 1969 e i produttori cercano improbabili gemellaggi tra la cultura hippy e quella dell’epopea del west. Con risultati francamente ridicoli. Il tutto con lo sfondo drammatico dell’imminente delitto della famiglia Manson che sta progettando l’uccisione dei “pigs” ricchi che abitano le colline di Bel Air vicino Los Angeles. Gli odiati attori delle odiatissime major cinematografiche. Quelli che a Hollywood ci abitano, non ci stazionano solo per un film o due.

L’abilità di Tarantino sta però nell’imprevisto lieto fine assegnato alla vicenda di Sharon Tate, dipinta come un’oca giuliva che passava il proprio tempo di madre in attesa andando a vedersi i suoi stessi film nella speranza di essere riconosciuta da qualcuno in sala. Dopo averci preparato all’inesorabile massacro finale, esattamente come nel film “Bastardi senza gloria” – imperniato sulle lotte degli ebrei per sfuggire ai nazisti – Tarantino inventa un finale diverso per la tragedia di Cielo Drive. Un lieto fine alla Tarantino, surreale, satirico e vendicativo ex post, che sta diventando uno dei suoi nuovi marchi di fabbrica. Non muore Sharon Tate (magari fosse andata veramente così), ma vengono eliminati gli hippy satanici. Messi knock-out, nello stile degli spaghetti western, dal duo Di Caprio-Pitt, che abitava per caso proprio in una villa in affitto locata “next door” alla villa di Roman Polański. Una grandiosa masturbazione mentale del cinema dello stesso Tarantino, fatta anche di citazioni colte e meno colte di cui si constaterà disseminata la pellicola.

 

Aggiornato il 19 settembre 2019 alle ore 13:05