Un talk-show esplosivo, “E poi c’è Katherine”

mercoledì 11 settembre 2019


Donna e “danno” fanno rima? Dipende. Un esempio? Il film di Nisha Ganatra “E poi c’è Katherine” (in uscita il 12 settembre), interpretato magistralmente da Emma Thompson e da Mindy Kaling, bravissima attrice e sceneggiatrice. Così, una donna può essere il più grande e implacabile nemico di una sua simile, come esattamente il contrario, fino a diventare un Doppio che rende piena la parte retro frontale mancante. Luci e ombre. Tutte quelle, in particolare, che trovano vita, si inventano ed esplodono sul set di un talk-show di tarda serata diretto da una star della televisione di intrattenimento, Katherine Newbury (Emma Thompson). Il suo “Doppio”? Una rotondetta Molly Patel (Mindy Kaling), origini indiane (nel senso della patria di Gandhi), viso largo e sorriso debordante, impiegata di concetto in una factory di prodotti chimici che sogna di divenire autrice di show televisivi popolari.

Il film, di fatto, è una traslazione sullo schermo del vissuto reale della Kaling, che lo traspone in commedia a partire dalle esperienze di una donna giovane, figlia della provincia che arriva a esercitare il mestiere di autrice e scrittrice nell’arena del Circo Massimo della supercompetizione newyorkese per il successo nei media d’intrattenimento. Lo spettacolo, grazie ai testi della Kaling e alle straordinarie improvvisazioni degli attori maschili, è una sorta di vortice d’aria con venti della comicità che spirano in tutte le direzioni, con la massima forza dell’autoironia e della presa in giro di un mondo che vive con la testa rovesciata all’indietro. Katherine l’orgogliosa, la sofistica, la razzista snob coltissima, vive infatti rigirandosi nel bozzolo chiuso del suo passato glorioso. Non avendo la virtù di Giano, non sa guardarsi le spalle, capire per tempo il logoramento di una carriera trentennale passata sugli scudi e sugli allori di un’audience progressivamente declinante. Sicché, per riconoscere il fallimento, ha bisogno di una nemica molto più potente di lei, che abbia nelle mani le chiavi del rinnovo del suo contratto: la direttrice del network da cui Katherine trae i benefit di status, come la sua casa milionaria nel quartiere più esclusivo di New York. Tipo, “Il Diavolo veste Prada”, in cui lo strapotere della direttrice della rivista di moda (Maryl Streep) trova il suo limite nell’editore, il solo in grado di metterla alla porta senza tante storie. Ma il film, molto delicato nel disegnare i sentimenti profondi e inaccessibili della protagonista, non è solo un susseguirsi di gag, di situazioni esilaranti sempre al limite del paradosso. No: come in un disegno animato la ragione indurita di Katherine si separa progressivamente dalla sua sfera emotiva nascosta, prendendone così coscienza grazie all’inversione di rotazione della sua Luna che ne fa apparire il volto nascosto, bello e affascinante. Così, la schiavista che non aveva mai visto che faccia avessero i suoi autori (tutti rigorosamente maschi, anche se non proprio etero) va a guardarli negli occhi al momento in cui è minacciata di licenziamento, perché il suo spettacolo consunto è venuto a noia agli utenti attuali.

Molly arriva così, fortunosamente, per caso. Deve solo rompere l’accerchiamento di genere. Non è una persona, ma una scusa che mostri un cambio senza cambiamento. Ma quando si mette molto piccante nell’agrodolce la miscela può diventare esplosiva, con due possibili esiti: risultare indigeribile o, viceversa, fare trend svecchiando e dando forza alle emozioni ripiegate su se stesse, diventate rughe indurite di una mente particolarmente brillante come quella di Katherine. Così, il suo tronco privo di corteccia rivela finalmente un cuore tenero rosso fuoco, ridiventando naturale e liberando le risorse caratteriali del genio che sa irridere il Potere e le cattive abitudini degli uomini. Arrivando persino ad ammettere pubblicamente il proprio tradimento nei confronti di un marito malato di Parkinson, nonché a riconoscere l’umanità degli altri, il loro amore non corrisposto eppure fedelissimo, perché davvero si può amare un tiranno. Come gli si può concedere il massimo dono del perdono per i suoi errori, facendo la semplice somma algebrica con le sue grandi virtù. Un prodotto cinematografico praticamente perfetto nei suoi impeccabili meccanismi.


di Maurizio Bonanni