Storie di falsari veri e veri falsi

Molti anni fa, a Rapallo, ebbi modo di fare amicizia con un falsario “patentato” di dipinti. Dico patentato perché autorizzato legalmente a eseguire copie di opere, con lo stile dell’autore, ma secondo le regole imposte: ovvero il “falso” deve essere dichiarato tale dall’esecutore e la copia deve essere di dimensioni mai uguali all’originale. Il simpatico, intelligente e onesto “falsario” mi spiegò anche alcune tra le tecniche adottate da lui e dai suoi colleghi, per ottenere risultati talmente validi da ingannare anche un conoscitore d’arte. Un “falsario” gentiluomo, dunque, di quelli all’antica che avrebbe volentieri bevuto un flûte di champagne Moët & Chandon con Arsene Lupin o con Rocambole. Storie d’altri tempi, ne convengo, ma adoro essere fuori moda.

Ma dal nostro artista della copia vengono fuori interessanti spunti sui falsi nell’arte. Qualche anno fa, a Roma, ovviamente sarei stato retribuito, mi venne richiesta un’autentica su un Kandinskij. Rifiutai. Rifiutai il compenso perché il rischio di autenticare un falso su un’opera contemporanea è troppo alto. In parole più semplici, in genere i falsi sono sempre opere – quadri o sculture – di arte contemporanea, quindi create tra il Novecento e l’oggi.

Il perché è facile a intuirsi: mentre riprodurre una pala d’altare o anche un dipinto da camera del XV o del XVI secolo o comunque creato prima dell’avvento dei pigmenti industriali, resta molto difficile anche per i più esperti e abili, intanto perché si dovrebbero avere i supporti dell’epoca e oggi, con le attuali indagini scientifiche sarebbe facile stabilire la datazione d’una tavola o di una tela, quindi bisognerebbe non soltanto essere eccellenti nel ricostruire la tecnica pittorica dell’artista originale, ma ciò andrebbe fatto ricreando perfettamente i colori così come venivano fatti allora e dunque anche in questo caso, con il rischio di essere certamente sconfessati con una semplice indagine chimica sui pigmenti. Ecco perché la maggioranza dei falsi in arte è del Novecento e più si va verso la sua fine, più facilmente si possono ricreare “ad arte” opere in realtà non originali.

Se poi, come purtroppo avviene in alcuni casi, entra in gioco una sorta di accordo tra gli eredi dell’artista, mercanti e autenticatori prezzolati, ovvero critici d’arte magari troppo sensibili al profumo del denaro facile, il gioco è fatto.

I “falsi” in realtà sono sempre esistiti, li fecero Michelangelo Buonarroti e molti altri grandi del Rinascimento, per soddisfare le richieste di mercato e di moda, quando a Roma andavano per la maggiore le sculture classiche, quindi questa pratica non è una novità né una caratteristica del nostro tempo, ma è la concezione del “falso” che è differente, la nostra attuale da quella di cinque secoli or sono.

Una “copia” di statua romana creata da Michelangelo è pur sempre un’opera d’arte, una copia di un qualsiasi artista – che ovviamente deve esse defunto e avere una quotazione di mercato – eseguita da un oscuro rifacitore, seppur bravissimo, senza dichiararla tale è un falso. Poi, magari, il falso potrebbe anche essere migliore di uno degli originali, ma questa è tutta un’altra storia.

Aggiornato il 08 agosto 2019 alle ore 12:29