Può un’automobile essere un’opera d’arte?

Qualche anno fa un celebre collezionista d’auto d’epoca in visita al museo Fiat di Torino si accorse che il motore 12 cilindri, cilindrata 6.800 centimetri cubici, che equipaggiava una Fiat 520 del 1921, dopo essere stato dato in prestito per un’esposizione al museo di Goodwood, località non distante da Londra, era stato manomesso e alcuni pezzi originali sostituiti con dei falsi.

La Fiat 520, conosciuta anche come Super Fiat, al tempo era l’unica automobile al mondo ad essere commercializzata con un propulsore a 12 cilindri ed era accessoriata con ogni tipo di comfort possibile per l’epoca. Fu costruita in pochissimi esemplari per fare concorrenza alla Rolls-Royce.

Data l’unicità del veicolo e l’esclusività del suo motore che potevano costituire un tassello del patrimonio e della tradizione culturale del nostro Paese, consigliai all’esperto collezionista di fare denuncia ai carabinieri del nucleo tutela patrimonio artistico di Torino, anziché rivolgersi ad un normale presidio di polizia o carabinieri.

Un attento comandante colse le ragioni e lo spirito del denunciante e avviò le indagini, apparentemente fuori dalla competenza del proprio reparto, che, avvalorate da una perizia del Politecnico di Torino, condussero ad un contenzioso con quel Paese.

Pochi giorni fa una sentenza del tribunale di Bologna, generata da una richiesta avanzata dalla Ferrari per tutelare i propri modelli da riproduzioni, ha riconosciuto come opera d’arte una preziosa Ferrari 250 Gto, in quanto opera dell’ingegno e del talento dell’uomo e pertanto meritevole di tutela anche ai fini del diritto d’autore.

La sentenza del Tribunale civile di Bologna, pur facendo un passo avanti nel proclamare un’automobile opera d’arte, lascia perplessi perché tale proclamazione viene desunta solo dai benefici accordati dalla legge dei diritti d’autore, spesso riconosciuti ad opere meritevoli di tutela per l’originalità ma ben lungi da poter essere definite “d’arte”.

Il diritto internazionale identifica i beni culturali di un Paese nei beni mobili o immobili di grande importanza per il patrimonio culturale dei popoli come monumenti architettonici, di arte o di storia, religiosi o laici, i siti archeologici, le opere d’arte, i manoscritti, libri e altri oggetti d’interesse artistico, storico o archeologico. Il diritto interno definisce un’opera d’arte una creazione artistica assemblata da professionisti di un’arte che comunque comporta una funzione primariamente estetica.

Uscendo dalle aride definizioni giuridiche, da secoli filosofi e sociologi si interrogano su come un oggetto comune possa divenire un’opera d’arte e quale sia la specificità dell’arte. Non saranno queste poche righe ad affrontare un tema così complesso ma può essere convincente il pensiero di chi riconduce l’arte alla piacevolezza e di chi sostiene che essa possa essere considerata tale quando “attiva un processo emotivo che non possiamo trovare altrove.

Oltre a ciò che è oggi molti altri fattori intervengono a definire un’opera d’arte: quello che rappresenta, il suo valore e le regole del mercato, il giudizio della critica.

Valore e piacevolezza sicuramente sono stati ben valutati da chi ha sborsato 48 milioni di euro per accaparrarsi una Ferrari molto rara all’asta di Monterrey la scorsa estate. E sarà un’irrefrenabile attrazione verso il bello che induce ricchi appassionati a partecipare ad aste ove opere d’arte firmate Alfa Romeo, Ferrari, Isotta Fraschini e Bugatti raggiungono oramai cifre da capogiro un tempo sentite solo per le quotazioni di dipinti famosi.

Sicuramente è un appassionato d’arte e non è mosso da venalità il possessore della prima auto costruita da Enzo Ferrari. Uscito dalla scuderia corse Alfa Romeo, Ferrari nel 1940 fondò una propria fabbrica d’auto che per contratto non poté chiamare con il proprio nome per un periodo di cinque anni. Cominciò a costruire veicoli denominati in gergo automobilistico “barchetta” con il nome di Auto Avio che non erano altro quelli che al termine dell’obbligo contrattuale sarebbero divenuti famosi con il nome di “Ferrari 166”.

Saputo che un meccanico d’auto di nome Mario Righini, ora grande collezionista, nel dopoguerra era venuto in possesso del suo primo veicolo costruito (Auto Avio numero 1), Ferrari sino a pochi mesi prima della morte inviò emissari da Righini muniti di assegni in bianco ove il fortunato possessore per cedere l’auto avrebbe potuto scrivere la cifra che voleva. Ma Righini non accettò e si tenne l’auto, ancora adesso parte più importante della sua collezione. Credo sia un esempio del rapporto morboso tra l’uomo e l’opera d’arte quando questa sprigiona sensazioni che vanno aldilà dell’intelletto e della ragione.

Aggiornato il 02 agosto 2019 alle ore 19:28