Dolor y Gloria, quando il Karma ti insegue

La Teoria del Tempo ciclico. In simboli, l’Uroboro per gli antichi egizi. Tutto passa e tutto torna, magari con cadenze e distanze siderali, ma così avviene nelle leggi del caos che regolano lo spazio fisico così come la sfera affettiva. Pedro Almodovar con il suo ultimo film “Dolor y Gloria” descrive autobiograficamente quella legge che si auto-rappresenta nel periodo breve di una vita intensamente vissuta d’arte e di amori diversi. Ma l’energia vera, quella propulsiva, sta nel trascinamento esistenziale del “Mater” che tutto genera e... degenera quando la sua costanza affettiva concentra in sé una natura patologica del possesso, dell’amore innaturale per la propria creatura, che resterà per tutta la vita prigioniera di quella sua nassa fitta, trasparente e immateriale. La mente è un cuneo che penetrando nel timpano dell’organo sensibile profondo denominato Anima lo agita e lo fa vibrare nell’aria ingombra di ossigeno come i tasti di un pianoforte, strumento docile nelle mani sapienti dell’abatino che cerca nell’edonismo sublimato delle note il piacere carnale proibito. La storia ha un côté lineare, che inciampa nei feed-back come un esploratore nella palude dove a ogni passo in avanti c’è il rischio della sabbia che ti inghiotte. Scrivere e conservare quei lampi di genio in un cassetto ribollente di zero-uno in cui ogni carattere battuto ha la sua bella stringa binaria, che però tu non vedi ma ne sei schiavo dopotutto.

Dolor y Gloria è, in fondo, un discorso sul Tutto: si viene al mondo, si fa una gran fatica a crescere e sopravvivere, si provano grandi piaceri e laceranti pene d’amore nell’età d’oro della vita per poi scendere nel nostro Ade della macchina biologica che perde progressivamente colpi, un po’ sempre più guasta, meno performante. Film nel film è lo scorrere arido, escoriante di immagini delle tomografie assiali di cervello e testa, delle radici innervate dei fasci muscolari, dei tendini e della colonna vertebrale sempre più storta che si piega ogni anno di più sotto il peso dei dolori della vita, fisici e non solo. Consola il ricordo del bambino che fu, quando una grotta di abitazione sembrava il paradiso in terra, con una madre bellissima, accudente e simbiotica che non ti vuole ignorante, perché lei e tuo padre si spezzano la schiena essendo nati poveri e non avendo studiato. Quella madre che alla fine della sua vita riprendi in casa e consoli accompagnandola all’ultima dimora inseguito dai sensi di colpa, dallo sguardo tenace di rimprovero di lei per averla lasciata sola quando gli amori omosessuali e la tua furia artistica esigevano il massimo di egoismo e di edonismo. Puntuale e inflessibile, arriva il Tempo Ciclico della nostalgia per ciò che si è perduto e lasciato colpevolmente andare, per i partiti presi e le carriere di altri distrutte perché il tuo Dominus interno voleva da loro perfezione, quella che nessuno, nemmeno tu stesso può pretendere dalla vita reale.

Poi, da bambino, la prima vera visione della tua identità sessuale, quando un corpo statuario di giovinetto ti folgora facendoti cadere a terra pieno di febbre e di agitazione, come quando si prende un colpo di sole non avendo fatto attenzione a coprirsi capo e sguardo. Infine, il miracolo di un quadro disegnato da un Giotto imbianchino che ti riproduce bambino seduto sul margine di una sedia di vimini, concentrato nella tua passione di sempre: la lettura. Il Tempo Ciclico, sempre lui, che ti riporta alla casella di partenza, ormai vecchio, eroinomane per dolore e stanchezza e ti invita a ricominciare daccapo una nuova vita violando i limiti di quell’essere biologico che ti contiene ma non ti possiede, né potrà mai farlo. Un segno, un simbolo che ti spingono finalmente a donarti senza più pretendere perfezione da altri e da te stesso. Perché la vita è caso e causalità. E un dipinto che non ti è mai stato consegnato all’alba, arriva al tramonto o, addirittura di notte. Il Tempo Ciclico che ti fa riscoprire il dono dell’amicizia, il sacrifico silente dell’Altro nei tuoi confronti e che hai sempre ignorato troppo innamorato del tuo Io dispotico e creativo. Bel film. Da vedere con l’anima piena...

 

Aggiornato il 04 giugno 2019 alle ore 13:59