L’Altro Teatro è una rubrica settimanale de “L’Opinione delle Libertà” curata da Giò Di Sarno. Si tratta di uno spazio in cui si vuole dare visibilità a spettacoli, opere teatrali in particolare, che pur avendo per protagonisti artisti di talento e soggetti interessanti, faticano ad avere voce sui media nazionali. I quali, come spesso succede, non dedicano molto spazio ad approfondire le proposte di teatri periferici. Ed è proprio in questi teatri, cosiddetti Off, dove spesso si esibiscono attori pieni di talento e si rappresentano gli spettacoli più interessanti. L’intento di questa rubrica è, perciò, quello di fornire un’informazione aggiornata allo spettatore, il quale spesso è ingolfato dalla pubblicità dei “soliti noti” e incanalato in un’unica direzione. In questo caso, senza fare discriminazioni al contrario e compatibilmente con lo spazio settimanale, si darà voce a tutti, senza distinzioni. Andando sul posto, sedendosi in platea e riportando esattamente reazioni e sensazioni del pubblico, facendo così da tramite per fomentare l’interrelazione fra spettatori e spettacolo.

La sorpresa più grande che ho avuto appena arrivata al teatro Vascello di Roma per assistere allo spettacolo di Nicola Vicidomini, “Il Fauno”, è stata quella di scorgere tra il pubblico numerosi addetti ai lavori, tra i quali tanti giovani attori. La sensazione è stata quella di vedere dei “bimbi felici” di assistere al sequel del cartone di fantascienza preferito e aspettare eccitati, in trepida attesa, sgranocchiando i pop-corn mentre va in scena lo spettacolo. Provo un po’ di “disagio”, perché non avendo mai visto dal vivo uno spettacolo di Vicidomini, mi sembravano tutti molto preparati, tranne me. Lo conoscevo, certo, ma per i suoi monologhi nei vari programmi televisivi come Colorado (Italia 1), Stracult (Rai 2), o per le incursioni a Che Fuori Tempo che fa, ma il teatro è altra cosa. O ci sei dentro, o non ci sei. E di lui la prima cosa che ti chiedi appena si apre il sipario, è "da quale tempo arrivi" (?), un’epoca indefinita che passa attraverso figure mitologiche e lucida follia contemporanea. All’inizio dello spettacolo ascoltando ridere tutti mi sono sentita un po’ imbecille, e mi sono chiesta se non capivo io o non c’era niente da capire: non c’era da capire, evidentemente. C’era solo da farsi trasportare in una condizione atavica, ancestrale. Dove l’odore della terra lo senti per davvero. Senti odore di verderame sui viticci, dell’erba tagliata, dei lapilli bagnati. Vicidomini, “il più grande comico morente” (la sua definizione più calzante), appare sul palco in mutanda e canotta bianca a costine, con indosso una vecchia pelliccia di volpe argentata, ovviamente fuori moda, di quelle che sotto il pelo hanno una vera e propria cotica e pesano una quintale.

A sigillo del look, una fune stretta intorno al torace e alle braccia, due buste di plastica, di quelle indistruttibili e inquinanti, infilate nella cintura di cuoio consumata dal sole delle campagne, e che pareva emanare un odore di stalla. Con ai piedi i famosi zoccoli Dr Schol, ha marciato per quasi tutta la durata dello spettacolo avanti e indietro per tutta la larghezza del proscenio, seguito da una figura che cronometricamente non ha perso mai il ritmo, anche se indossava una pesante maschera di Caprone e esibiva delle vere corna di bue, realizzata da DEM. Completamente scalza. Frutto di prove, certo, ma anche di tanta affinità. Non per niente Lei, la “figura”, si chiama Miriam ed  è nata dagli stessi genitori. Nicola Vicidomini è anche un talentuoso pianista, oltre che autore. E lì si intuisce tutta l’autenticità, genere inimitabile, in quanto per potervisi accostare bisognerebbe avere lo stesso DNA. La scienza dice che: “(…) la probabilità di avere due DNA uguali è di  uno su 46.000.000 (…) impossibile.” Allora capisci che si sta davanti a un artista di razza, che ha fatto una ricerca meticolosa perfino di tutti gli accenti della provincia di Napoli e ne ha tirato fuori un suono così musicale e preciso nella sua imprecisione, da farlo sembrare un grammelot, anzi una Lingua. E sentendolo bisogna solo inchinarsi e applaudirlo.

 Ha iniziato con Mario Marenco, qualcuno prova ad accostarlo all’attore  recentemente scomparso, anche se io vi ho scorto tanto di Giorgio Bracardi, soprattutto nella gestualità del corpo e nelle espressione del viso. I brani inediti, composti e eseguiti elettronicamente dal grande musicista, il Maestro Piero Umiliani (voglio ricordarlo, tra le sue tante composizioni, anche per aver musicato “Il valzer della toppa” di Pasolini), scandiscono il respiro di un’azione sempre sospesa, interagendo con un habitat acustico realizzato con il musicista sperimentale Ndriu Marziano, con cui, e tutti insieme, chiudono il cerchio. In scena pochi elementi, perché l’elemento essenziale è lui, attore ma anche spettatore di se stesso attraverso il Fauno.

Ultima replica dopo due sold out assoluti, domenica 26 maggio al Teatro Vascello di Roma. Info e prenotazioni: 06/5881021-06/5898031

(*) Foto per gentile concessione di Claudio Castello

Aggiornato il 17 maggio 2019 alle ore 17:02