La fuga dalla provincia nel libro di D’Alonzo

giovedì 2 maggio 2019


La partecipazione, politica ma anche sociale. Quasi una rimozione nel panorama contemporaneo, italiano e più in generale europeo. L’esserci, far valere i propri valori e portarli avanti, per superare i meccanicismi ripetuti della realtà omologante e spersonalizzante, se non addirittura banale.

È forse questa una delle chiavi di lettura del nuovo romanzo di Rolando D’Alonzo, “La misura del cielo” (Di Felice edizioni, 2019), ultimo lavoro del prolifico scrittore abruzzese, che racconta, o meglio offre la sua interpretazione delle grandi trasformazioni sociali avvenute in Italia dagli anni Settanta in avanti. Cambiamenti che, specialmente nella provincia e nel centro-sud, hanno portato le vecchie comunità a perdere gran parte della propria identità e delle forze vitali, andando incontro alla crisi economica, allo spopolamento e all’incapacità di inventare un nuovo futuro.

Quello di D’Alonzo, scrittore dal piglio engagé, è un romanzo che presenta molteplici sfumature, con una fitta rete di rimandi letterari e filosofici, da Cesare Pavese alla vita etica di Soren Kierkegaard; e che ci offre, prima di tutto, un grande spunto di riflessione: quale il posto della provincia italiana di fronte ai grandi asset della storia contemporanea? Se pensiamo alla marginalità di alcune aree del nostro Paese, allo spopolamento di interi paesi, pensiamo all’area dell’Appennino centrale, come si possono creare opportunità di lavoro e realizzazione personale per chi decide di continuare a vivere e investitore nel proprio territorio?

Nel libro si narra di Attilio, giovane insegnante precario in un comune del centro-sud, che, alla fine degli anni Sessanta, lascia l’Italia, deluso dal sistema imperante delle raccomandazioni e clientele varie. È passato più di mezzo secolo da allora, eppure la storia sembra così uguale, come sappiamo, con la fuga dei cervelli e le decine di migliaia di giovani che lasciano il nostro paese.

D’Alonzo fa analisi sociologica, ma fa anche immedesimarsi sulle grandi potenzialità dell’esistenza umana, come la facoltà di non arrenderci alla durezza ontologica del reale, alla banalità della situazione in cui siamo gettati, per farci vivere insieme ad Attilio verso una apertura costante ai sogni e alle aspirazioni così umane che potrebbero appartenere a tanti giovani, oggi come di allora.

Una scelta spiazzante, quella di Attilio, che arriva fino ad Amburgo per crearsi una nuova serie di legami e amicizie, accettando di fare l’operaio lui che insegnava letteratura nella valle del Trigno, fino a realizzare un salto esistenziale che ricorda la vita etica di Kierkegaard, quando inizierà una relazione con una donna italiana anche lei approdata in Germania.

Dunque una vicenda sul tema dell’emigrazione, così come sul divenire incessante della vita sulla libertà di ogni donna e uomo che portano avanti le proprie aspirazioni legittime. E che ci fa riflettere, soprattutto, sul motivo, doloroso, per cui tanti giovani, oggi come allora, debbano lasciare le proprie famiglie e il Bel paese per trovare altrove una vita migliore.

Ed è per questo che si torna all’incipit di questo articolo: prima di essere costretti a emigrare, occorre impegnarsi per il proprio territorio. Darsi da fare contro le arretratezze e le inefficienze che bloccano lo sviluppo: quello di D’Alonzo è un romanzo che ci ricorda l’importanza della partecipazione politica. Vivere, incontrare l’altro, il vicino, interessarsi alla vita pubblica, far maturare la propria comunità, oggi come cinquant’anni anni fa, rimane l’antidoto più efficace contro l’impoverimento del sociale. Perché partecipare vuol dire prendersi cura dell’ambiente che si ha intorno, contrastando il rischio di una realtà fatta solo per pochi, o di arcaici privilegi che mortificano la crescita.

Prima di decidere di emigrare, come l’insegnante Attilio, che in fondo sogna sempre di tornare in Italia per migliorare la sua terra, sarebbe importante impegnarsi per il proprio territorio, per realizzare riforme, e per cambiare, se non le condizioni economiche, almeno qualche vecchia mentalità che blocca la crescita.


di Mario Sammarone