L’anticomunismo e i nostri servizi/2

Pubblichiamo la seconda parte di un breve saggio di Salvatore Sechi. La prima parte è disponibile a questo link.

Verso la fine della guerra era maturata una doppia consapevolezza. La prima: l’alleato della lotta contro il nazifascismo (cioè l’Urss, il comunismo) andava considerato il prossimo pericolo da contrastare. La seconda: occorreva staccare dal nazifascismo le forze che disponevano di competenze, conoscenze, tecniche di lotta ecc. per volgerle contro il comunismo. Il problema diventava a questo punto quello di come governare, rieducare, egemonizzare lo spostamento di corpi e reparti del controspionaggio nazifascista in maniera che diventassero una risorsa non solo fedele, ma propria dei regimi democratici. Una parte della saggistica e della storiografia italiana non si è resa conto dell’importanza e dell’estrema difficoltà di questa operazione. Perciò si è limitata, subendo l’impulso del Pci, a demonizzarla come il segno, la pistola fumante addirittura, dell’appeasement, del compromesso con i fascisti. A rendersi conto della complessità di questa manovra fu il lavoro di una storica come Elena Aga Rossi e del collega statunitense B.F. Smith, Operazione Sunrise. La resa tedesca in Italia 2 maggio 1945 (Mondadori, 2005). È stato fatto passare praticamente sotto silenzio.

Nella saggistica prima citata si è preferito presentare la ricerca di un accordo di carattere antifascista come un cedimento a Hitler e Mussolini. Lo si è brandito, e si continua a farlo ancora oggi, come la prova che i governi antifascisti non costituivano nessuna rottura di continuità con i loro predecessori. Senza spirito polemico e volontà controversistica si è mosso, invece, un giovane studioso di Grosseto, Giacomo Pacini. A lui si debbono studi specialistici, ma di lettura assai piana, cioè accessibile a tutti, sulle formazioni para-militari e sulle strutture informati ve che hanno traghettato l’Italia dal fascismo all’antifascismo. Mi riferisco a Le organizzazioni paramilitari nell’Italia repubblicana 1945-1991, Prospettiva editrice, Civitavecchia-Roma, 2008; a Il cuore occulto del potere. Storia del l’Ufficio Affari Riservati del Viminale, Nutrimenti, Roma 2010 e al più recente Le altre Gladio. La lotta segreta anti comunista in Italia 1943-1991, Einaudi, Torino. Ma Pacini non alza bandiere e non suona grancasse. La sua preoccupazione è di capire i processi storici del dopoguerra sbrogliando matasse di documenti che nel caso dei servizi se greti sono spesso inaffidabili, parziali o anche specchietti per le allodole. A volte sono costruiti per depistare le indagini giudiziarie e quelle stesse del la polizia. È quanto secondo un gruppo di giovani ricercatori (L. Beggi, P. Cian ci, M. Drudi, L. Palestini, F. Romani, A.Vergari, Depistaggi. Da Piazza Fontana alla Stazione di Bologna, prefazione di C. Lucarelli e introduzione di Antonella Beccaria, Castelvecchi, Roma) della Bottega Finzioni di Carlo Lucarelli sarebbe avvenuto in vicende come le stragi di piazza Fontana a Milano, di Peteano nel Friuli, della stazione centrale di Bologna, di piazza della Loggia a Brescia. Nuoce a questo volume l’enfatizzazione del luogo comune messo in circolazione dai comunisti e fatto proprio dai gruppi e movimenti di estrema sinistra e di estrema destra secondo cui i servizi segreti, i corpi militari, il Dipartimento di Stato degli Usa avrebbero alimentato una campagna anticomunista servendosi di ogni possibile strumento. Dai finanziamenti massicci alla Democrazia Cristiana e ai partiti di centro alla costruzione di iniziative non solo ostruzionistiche, ma anche tentativi di colpi di stato fino ad una permanente strategia della tensione ordita con Avanguardia nazionale, Ordine nuovo e altri gruppi del terrorismo e dello stragismo neo-fascista.

Tutto ciò è avvenuto in misura minima e parziale, ma il Pci e i gruppi di estrema sinistra insieme a quelli apertamente terroristici l‘hanno amplificato fino a trasformarlo nel modo di essere della guerra fredda. A Roberto Pertici, invece, si deve la riflessione più rigorosa su Il vario anticomunismo italiano 1936-1960 nel volume AA. VV., Due nazioni, Il Mulino 2003, pp. 263-334.) Ad aggravare la falsificazione plateale della storia contemporanea dell’Italia e dell’Europa nel secondo dopoguerra è l’omissione di ogni riferimento alla smantellamento dei regimi politici nei paesi dell’Europa orientale da parte dei sevizi segreti sovietici (Kgb e Gru). Per non parlare del silenzio plumbeo sull’enorme finanziamento -sia durante il Comintern sia durante il Cominform- che il Pcus, attraverso la sua intelligence civile e militare, ha fornito al Pci come a tutti i “partiti fratelli”. Ha cercato di sottrarsi a questa storiografia (se così si possono chiamare i saggi a tesi) tronfia della propria prorompente faziosità uno studioso come Francesco Maria Biscione. Le sue riflessioni sono non di rado in sintonia con argomenti, motivi, sollecitazioni di De Lutiis, Cucchiarelli, Giannuli ecc. Ma gli va dato atto di avere saputo salvaguardare il suo mestiere di ricercatore. Lo ha in un suo saggio, Il sommerso della Repubblica, Bollati Boringhieri, Torino 2003, in cui rileva il permanere, dopo la Liberazione, in seno all’antifascismo di idee della democrazia non scontate. Attribuisce l’anticomunismo di potere e di Stato, la corruzione politica, la consistenza e l’estensione dei poteri occulti lo si doveva a un ritardo culturale genetico”. del Pci , cioè il suo rapporto con l’Unione sovietica” (p. 20), che sopravvisse anche all’invasione di Praga (p. 21) .

Si è evitato il pericolo della falsificazione della storia del dopoguerra anche da parte di un giovane studioso come Pacini. Nel suo ultimo lavoro (Le altre Gladio, Einaudi, Torino) si è sottratto alla tentazione, fortissima, di liquidare i governi di Washington come responsabili di ogni efferatezza e i creatori di trame e aggressioni a testa multipla, cioè inconsolabili imperialisti e guerra fondai. Egli accoglie alcuni aspetti della narrazione di Giannuli e compagni, ma si arresta nel momento in cui essa viene concepita e trasmessa come una sorta di confezione politico-ideologica. Sulla Gladio, che era una struttura segreta di civili e militari creata su scala europea (per scatenare la guerriglia e colpire alle spalle gli eventuali i corpi di invasione stranieri -in particolare sovietici - del territorio nazionale), taglia via ogni ambiguità. Nega, infatti, che in Sardegna, a Capo Marrargiu, abbia addestrato neo-fascisti di Avanguardia nazionale e di Ordine nuovo (p. 301). Questo compito era stato, invece, assolto dai Nuclei per la Difesa dello Stato, un’organizzazione parallela ai nostri servizi (chiamata, infatti, Sid Parallelo) indagata dal giudice di Padova Tamburino. Ma la Procura di Roma sentenziò che si era trattato di un’invenzione “per coprirsi” dei dirigenti della Rosa dei Venti (il Col. Amos Spiazzi) e di un sindacalista della Cisnal (Cavallaro).

La stampa di sinistra montò una campagna di stampa martellante che era priva di ogni fondamento e quindi indecorosa. Venne attribuita a Gladio la responsabilità di avere fatto una sorta di fronte comune con i terroristi neo-fascisti addestrandoli, insieme alle proprie unità, al sabotaggio, alla guerriglia e a tutte le forme di guerra non ortodossa. Tutti i misteri d’Italia furono messi in capo a Gladio. Con l’esito di colpevolizzare (e rovinarne la carriera, insieme alla vita) un ufficiale leale, che con queste vicende non ha mai avuto nulla a che fare, come il generale Paolo Inzerilli, e l’allora capo del Sismi ammiraglio Fulvio Martini. La ricerca di Pacini, fondata sulla consultazione di una grandissima mole di materiali reperiti in ogni possibile archivio, si chiude citando un documento pubblico che i suoi colleghi, prima e dopo di lui, hanno preferito sempre far finta che non sia mai esistito o più semplicemente di ignorare perchè non rientrava nella loro narrazione storica personale o auspicata da chi li “muoveva”. Mi riferisco ai verbali dell’incontro tra i dirigenti della Cia e del Sid del 15 dicembre 1972. È allegato alla relazione del capo della Commissione di inchiesta Gualtieri ed è accessibile presso l’Archivio Centrale dello Stato. La lettura consente di dire che i dirigenti dei nostri servizi hanno respinto ogni tentazione e proposta (anche di origine esterna, cioè internazionale, proveniente dai nostri stessi alleati) di usare Gladio a fini di politica interna, cioè in funzione anti-Pci. Si può discutere se questo atteggiamento sia stato ugualmente fermo egli anni precedenti.

Aggiornato il 10 aprile 2019 alle ore 10:23