Destra liberale e destra sovranista/1

Pubblichiamo la prima parte di un breve saggio di Riccardo Scarpa sui concetti di Destra e Sovranità. Qui è possibile leggere la seconda parte.

In alcuni ambienti della Destra, italiana ed europea, si usa sempre più spesso parlare di sovranismo. Si tratta, in Italiano, d’un adattamento dell’espressione francese souverainisme, nell’Encyclopédie Larousse en ligne così definito: «Dectrine des défenseurs de l’exercice de la souvraineté nationale en Europe. Le souvrainisme français prend la forme d’une protestation contre une intégration européenne qui menèrait à la desparition des États-nations et consacrerait l’avènement des «États-Unis d’Europe»...». Alla parola adattata alla lingua italiana s’è dato un significato ancora più ampio. Il Vocabolario Treccani l’ha introdotto come neologismo nel 2017: «Posizione politica che propugna la difesa o la riconquista della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato in antitesi alle dinamiche della globalizzazione e in contrapposizione alle politiche sovrannazionali di concertazione». La terminologia francese è precisa, si riferisce ad un’opposizione alla natura federatrice delle Istituzioni dell’Unione europea.

La pessima traduzione italiana, invece, è vaga e vacua. Ne fa una contrapposizione ad un processo economico sociale ancora scarsamente istituzionalizzato, il globalismo. È errata per quanto attiene alle politiche sovrannazionali. Esse sono l’esercizio di competenze, anche sovrane, trasferite dagli Stati membri d’Istituzioni supernazionali alle stesse. Non si tratta di concertazione, che ha luogo in organizzazioni internazionali nelle quali non v’è tale trasferimento, ma che costituiscono un semplice ambito di cooperazione per gli Stati aderenti. Come al solito, l’esterofilia di certi italiani, tanto più virulenta in coloro i quali, a parole, si definiscono identitarî, altro neologismo cacofonico, fa loro copiare dagli stranieri, ma male. Questa posizione politica non nacque, poi, neppure in Europa, ma in America settentrionale, in Canada, nel Quebec francofono, come opposizione all’accentramento federale nella Costituzione canadese. Già, perché il federalismo è una dottrina politico-costituzionale che si propone l’accentramento, attraverso il trasferimento di competenze da parte di Stati, prima indipendenti, e non certo la secessione di enti territoriali da uno Stato unitario ed indivisibile. Altro equivoco nell’uso di termini fraintesi.

Nel sovranismo v’è, comunque, un errore anche nell’accezione francese. Indubbiamente, l’espressione si rifà al sostantivo Sovranità, ma non ne capisce il senso storico. Il vocabolo, al contrario di quanto si crede, non è antico. In antico s’ebbe il Rex, da regere, governare. In greco Basileús (Βασιλεύς), secondo un’etimologia da básis (βάσις), base, ciò su cui poggia il laós (λαός), la moltitudine del popolo o le schiere.  Quando la carica s’esercitò assieme ad un collega, in una diarchia, in Roma fu il Consul. Etimologisti contemporanei, però, fanno derivare il termine greco all’egizio paser/pasir, da cui visìr, il comandante delle truppe, come il latino Imperator. Quindi, ben si prestò a designare in greco l’Imperatore dei Romani, sino al 1453 ed anche oltre, se si considera come il titolo sia stato vantato in seguito dagli Imperatori Ottomani, fino al 1922.

Nell’antichità, poi, l’assimilazione di questo titolo alla figura di Caio Giulio Cesare fu tale da trasformare Cesare in nome comune della carica; fino al russo Czar, da quando lo assunse, nel 1520, il Gran Duca di Moscovia Basilio III, nato da Ivan III e Zoe Paleologo, figlia dell’ultimo Imperatore di Costantinopoli. Eredità contestata, in cui si chiama in causa anche un altro appellativo romano del comandante militare, quello di Dux, da cui Doge, il Capo di Stato della Serenissima Dominante, Venezia, in ragione della carica Protospatario e Protosebaste, cioè Portaspada e Conte Palatino, dell’Imperatore dei Romani a Costantinopli, dal XIII secolo Signore dei tre ottavi delle terre di Romania, cioè di quell’Impero. Se la civiltà, però, lì continuò a rifulgere, l’Occidente s’imbarbarì, da quando, nel 476 dell’êra volgare, il generale Erulo Odoacre depose Romolo Augustolo ed inviò le insegne imperiali a Costantinopoli. La riconquista di Giustiniano, poi, non fu mantenuta a lungo. Da quella mancanza d’imperio nacque il feudalesimo; cioè, i colleghi giuristi mi perdonino l’improprietà dei termini, una sorta di subappalto quasi privato del controllo del territorio a signorotti armati, cui venne demandata la giurisdizione in sede locale.

L’economia da cortile dei loro castelli, e gli esigui manipoli di cavalieri e fantaccini a loro disposizione, però, non furono in grado di garantire un ciclo autoriproduttivo della ricchezza ed una difesa realmente autosufficienti senza un coordinamento accentrato. Così nacque l’esigenza, come si disse in quel basso latino imbarbarito, d’un Supereanus, cioè d’un vertice superiore della gerarchia dei poteri feudali, dai quali quei signorotti ricevettero l’investitura dei loro feudi, ad al quale s’obbligarono a fornire i loro uomini per garantire la difesa d’un territorio sufficientemente vasto per svolgervi un minimo di traffici commerciali, senza dei quali si sarebbe essiccata anche quella tisica economia da cortile. Da questo Supereanus deriva il termine Sovranità. Fu una pezza a colori messa all’imbarbarimento. La Sovranità, dopo una lunga gestazione gotica e longobardica, nacque, nella propagine occidentale dell’Eurasia, nel Natale dell’800 dell’êra volgare, coll’incoronazione ad Imperatore di Carlo Magno. Subito, quindici anni dopo, però, il trattato di Verdun smembrò l’Impero barbarico nei regni di Francia, Lotaringia, Germania ed Italia; per poi riunirsi di nuovo sotto gli Ottoni. Cominciò un tira e molla, fra riaffermazioni della Sovranità e smembramenti più o meno falliti.

(1. Continua. Leggi la seconda parte)

Aggiornato il 09 aprile 2019 alle ore 13:37