Chi è “Anita”? Nel caso di Alain Elkann, una figura protagonista della sua vita vissuta, ritratta tra sogno e realtà, così come narrata nel suo ultimo libro dal titolo omonimo, Ed. Bompiani 2019, presentato a Roma il 14 febbraio scorso all’interno degli spazi dell’Associazione Civita presso la sede di Piazza Venezia. Poi, c’è lui, Misha, figlio di un notissimo religioso ebreo che vive un rapporto intenso di amore-odio nei confronti della figura paterna, troppo importante, così lontana e assente per non voler a ogni costo stargli accanto per l’eternità, nella stessa sepoltura e nella stessa tomba di Montparnasse a Parigi, in modo da poter stabilire finalmente con lui un dialogo infinito. Vissuto randagio, nelle mani di fredde e rigide istitutrici, Misha come molti pellegrini senza una vera patria ha girovagato sulle sparse membra di questa terra, a New York, Parigi, Torino, Gerusalemme, Tel Aviv e anche altrove. In quel suo vagabondare ricco di donne, mogli e figli, incontra a tarda età l’amore della sua vita: Anita, appunto. Se ne innamora così tanto, che vorrebbe costruirsi una macchina del tempo in modo da conoscerla ancora giovane, farci almeno tre figli e amarla come nessuno ha mai amato una donna.

Intanto, però, la loro vita adulta in comune si arricchisce a dismisura nella convivenza di problemi dei figli già grandi, di amicizie che l’uno va ereditando dall’altra, ricamate o imbastite come merletti fini da personalità estroverse, capricciose, mutevoli e folli. Eppure, così simbiotiche da lasciare un vuoto terribile quando vengono a mancare prima del tempo, distrutte da vizi coltivati con ossessività fino a farli marcire. In questo semiparadiso in terra, però, si insinua un tarlo gigantesco, destinato a divaricare come un forcipe l’utero di quell’amore così vero, unico, mettendo al mondo un mostriciattolo che lo divorerà dall’interno, come farebbe un ragno che si nutre delle viscere degli insetti rimasti prigionieri nella sua tela di lucido acciaio setoso. Per quanto possa sembrare strano e paradossale, il pomo della discordia è il trattamento post-mortem delle loro spoglie mortali. L’uno vuole essere seppellito per intero in una tomba possibilmente di famiglia; l’altra invece è assolutamente determinata a farsi cremare. E una discussione che sembrerebbe così tanto banale arriva in modo inatteso a farsi pregnante nel loro rapporto, un vero dominus perturbativo della relazione di coppia.

È l’Autore stesso a chiarire questo aspetto fondamentale nel corso della presentazione del suo libro: “Anita è una meditazione sull’esistenza dove si racconta di uno strano derby all’interno di amori che arrivano oltre la metà della vita: si appronta così una narrazione che intende rappresentare l’utilità di chi vuole con un’unione tardiva mettere in gioco anche tutto ciò che si è vissuto separatamente”. Naturale, forse, quando appunto due amanti si incontrano in età avanzata. La questione di cui i due dibattono fino allo stremo (e che causerà la fine della loro relazione) è: “Che cosa fare, decidendolo in vita, della propria spoglia mortale dopo il trapasso? Anita è per la cremazione perché, dice, le ceneri sono più democratiche: si possono dividere in due mucchietti uguali, ad es., tra il marito e l’amante. E, poi, è possibile tenerle in casa per farci compagnia mentre stiriamo. Nel frattempo, Misha, compagno di Anita, deve vedersela con la sorella che eredita dalla madre l’usufrutto della tomba di famiglia, da cui lui si sente pertanto estromesso, venendogli così a mancare anche quella sua programmata dimora finale. La Morte è un’idea, un accadimento inevitabile e molto concreto con cui fare i conti”. Purché il dilemma “ceneri sì, ceneri no” non giunga al punto irreversibile di far fuggire per sempre l’amore unico e vero della propria vita!

Aggiornato il 05 marzo 2019 alle ore 15:14