I Fratelli Karamazov all’Eliseo

Esiste Dio? Ma se non esistesse lui, allora quale senso avrebbe parlare del Diavolo? Come si fa a dire che cos’è l’Ombra senza parlare dell’esistenza della Luce che la proietta? L’una e l’altra danno consistenza ai volumi, ne costituiscono il perimetro. Ma... l’Anima? Dove iniziano, si estendono e terminano i suoi confini? Stanno nel reale o nell’immaginario? E come si spiega il bisogno estremo di trascendenza che l’Homo Sapiens ha avvertito fin dagli albori della sua specie? Il teorema di Ivan, nei Fratelli Karamazov, è folgorante: “Dio non esiste e quindi l’uomo è libero di fare ciò che vuole”. Libero perfino di replicare all’infinito il ruolo del Caino e dedicarsi con furia al parricidio, che va a colpire una figura laida paterna rea di dissoluto libertinaggio e di aver seminato figli illegittimi in giro per la Santa Russia, prendendone poi uno, Smerdjakov, come servitore suo e dei suoi fratelli legittimi, avuti da mogli diverse. Lui, il padre, che arriva a contendere con il denaro i favori di una prostituta, Grušen’ka, della quale si è follemente innamorato il suo figlio maggiore, Dmitrij. Una davvero straordinaria riduzione teatrale del capolavoro di Fëdor Dostoevskij va in scena al Teatro Eliseo fino a 17 febbraio (con repliche ad aprile per gli abbonati), con principali protagonisti Glauco Mauri, nella parte del padre, Fëdor Pavlovič Karamazov, e un superlativo Roberto Sturno che interpreta suo figlio, Ivàn Karamazov.

Accanto all’amore profano e mercenario, ecco poi ritagliarsi nell’amaro della solitudine e dell’orgoglio vendicativi la figura nitida e severa di Katerina Ivanova, puritana e ferocemente monogama che si innamorò di Dmitrij per un suo gesto di generosità, disposta a perdonare qualsiasi tradimento al suo amato pur di averlo con sé. Ma il problema è il conflitto tra l’esistenza di Dio e in sua assenza la sanzione del dominio assoluto del libero arbitrio, senza più argini ed etica che presieda alle funzioni umane di scelta. Concetto splendidamente spiegato da uno spiritato Ivan che illustra una sua opera (solo mentalizzata e ancora da trascrivere) al fratello prete dove parla della sua visione antireligiosa delle cose che afferiscono (e feriscono!) l’animo umano. Nel suo racconto di fantasia, ambientato nel Seicento dell’Inquisizione e intitolato “Il Grande Inquisitore”, Dio decide di inviare di nuovo sulla terra il suo figlio prediletto, che le folle riconoscono immediatamente come tale mentre lui come atto d’amore testimonia la sua divinità ridando la vita a una bimba morta.

Ma il cardinale cui compete il ruolo di Grande Inquisitore lo fa arrestare senza che il popolino opponga resistenza, terrorizzato dal potere temporale del porporato. In fondo, il popolo di Israele non scambiò Barabba con Gesù? Il cardinale interroga in cella il nuovo Messia, avendolo perfettamente riconosciuto, e lo condanna (invitandolo perciò a uscire e a sparire per sempre!) per aver voluto concedere agli uomini troppa libertà che soltanto loro, i soldati occulti di Satana, possono ricondurre entro limiti ragionevoli fingendo di agire nel nome di Dio. Ivan pagherà carissimo questo suo rifiuto ideologico dell’esistenza di Dio, a suo giudizio un’entità perversa che condanna anche i bambini a subire atrocità di ogni tipo. Ma per lui il contrappasso sarà terribile, perché scoprirà con orrore di essere il mandante involontario del parricidio, per cui suo fratello Dmitrij è stato condannato innocente a venti anni di Siberia! Così, in un crescendo finale di follia inarrestabile, mesi dopo l’assassinio del padre e la sconvolgente rivelazione di Smerdjakov, Ivan scopre il suo “Doppio” con il quale ha da sempre convissuto da buon schizofrenico che lo spinge al dialogo con la sua parte satanica irriducibile, la cui drammatica deriva è infine l’autodistruzione.

(*) Per info e biglietti: Teatro Eliseo

Aggiornato il 15 febbraio 2019 alle ore 21:08