Addio a una Villa del Palladio

Qualcuno ricorderà certamente quando l’architetto Rambaldo Melandri, in “Amici miei” di Mario Monicelli, insieme con gli altri “zingari” partecipava al souvenir d’Italie, facendosi fotografare “la villa del Palladio”. Quello almeno era uno scherzo divertente perpetrato ai turisti dalle menti sarcastiche dei burloni fiorentini, invece la delirante proposta fatta da un rappresentante di Italia Nostra non è né una burla né fa ridere. Anzi.

Sarebbe bello conoscere quale démone della follia, abbia fatto produrre l’insensata idea di un utilizzo a fini commerciali di una delle dimore palladiana del Veneto e del Friuli, Villa Emo, al presidente della sezione di Treviso di Italia Nostra, Romeo Scarpa. Ovviamente questa “provocazione” non ha incontrato il favore dei vertici dell’associazione italiana, che si sono ritrovati all’improvviso in grande imbarazzo, auspicando anzi l’acquisto di Villa Emo da parte del Mibact.

Secondo il pensiero di Scarpa, questa “trasformazione” servirebbe a scongiurare il lento degrado di tali beni architettonici. Del resto, operazioni simili a Venezia non sono nuove, basti pensare al Fontego dei Tedeschi, trasformato e soprattutto snaturato, in nome del mercato e del glamour.

Questo è il tragico e tristo livello di costante autodistruzione al quale siamo giunti in Italia, con il pressoché totale disinteresse delle istituzioni e della politica. Laddove si potrebbero- ovviamente con l’aiuto dei privati, non si pretende che tutto gravi sulle spalle dello Stato – recuperare borghi abbandonati, riportarli in vita con la loro storia, la loro tradizione, la loro cultura legata al patrimonio artistico, si preferisce invece costruire centri commerciali, cattedrali nel deserto, e piegare ogni cosa ai fini dell’utile del mercato.

Chiese, oratori, ville storiche in disuso e abbandonate, interi paesi potrebbero, se esistessero competenza, capacità e buona volontà, salvati da sicuro oblio, ripopolandoli non già con il cosiddetto “sistema lucano”, ma dando possibilità a giovani coppie, ad artisti, a “operatori culturali” di trasformarli in centri vivi e vitali così che la produttività verrebbe di conseguenza.

Antiche città, spesso sconosciute al turismo, attendono questa “rinascenza”, attendono coraggiosi imprenditori e audaci uomini di cultura che se ne facciano carico e onore, lontani dai più facili guadagni della grande distribuzione.

E la villa palladiana va così salvata dall’essere deturpata, immiserita da una progettualità di consumo mascherata da volontà di salvaguardia e di valorizzazione, in memoria dell’architetto Rambaldi che, ghignante, non avrebbe mai approvato questa “Italia” che non è più nostra.

Aggiornato il 04 febbraio 2019 alle ore 11:54