L’inverno dei diritti umani

Qualche sera fa ho visto su “RaiStoria” il programma condotto da Paolo Mieli. Lo seguo abitualmente, ma, questa volta, l’ho apprezzato particolarmente. Descriveva la cosiddetta stagione dei diritti, collocata nel periodo compreso tra l’immediato dopoguerra e gli anni ‘70, ricordando il succedersi delle convenzioni internazionali, a partire dalla dichiarazione universale dell’Onu sui diritti dell’uomo. L’accento degli storici presenti cadeva sulla convergenza del sentire di alcuni Stati (quelli europei, in primis, e, tra questi, il Regno Unito), che interpretando la spinta dei loro popoli, ove non anticipandola, decisero addirittura di assoggettarsi al giudizio di una Corte.

La Cedu, in questa prospettiva, rappresenta un momento di svolta. Fin qui, Paolo Mieli, che condivido in toto. Purtroppo, quella stagione è finita: conclusa perché i popoli non incalzano più i governi, ma chiedono sicurezza in luogo dei diritti. E i governi, manco a dirlo, li accontentano volentieri, erodendo giorno dopo giorno quei diritti faticosamente riconosciuti.

È cambiato il mondo. Negli anni ‘70 nessuno avrebbe detto “voglio essere intercettato”. Il contrario, semmai, magari esagerando nella difesa della sfera privata. Prendiamone atto: siamo noi a volere che accadano queste cose, non il potere dello Stato. Ludwig von Mises disse: “I governi diventano liberali soltanto quando i cittadini li costringono ad esserlo”. Partiamo da questo.

Aggiornato il 22 gennaio 2019 alle ore 15:29