Voci da un condominio di Napoli, “Così parlò Bellavista”

Chi è di casa? Il Mondo, in pratica, parlando di un condominio napoletano della fine anni Settanta, quelli di “piombo”, per intenderci. Dal romanzo di Luciano De Crescenzo, al film e, finalmente, alla sua riduzione teatrale attualmente in scena al Teatro Quirino di Roma fino al 3 febbraio, per la regia di Geppy Gleijeses (che interpreta il ruolo del professor Bellavista) e attori protagonisti Marisa Laurito (Maria, la moglie del professore), Benedetto Casillo (Salvatore, il vice sostituto portiere), Nunzia Schiano (Rachelina), Salvatore Misticone e Gianluca Ferrato (dr. Cazzaniga). Dov’è che si confessano verità scottanti? In ascensore, naturalmente, come nei film di spie. Quando quest’ultimo si arresta per scienza o per caso allora la minaccia del tempo che passa nel buio totale o alla fioca luce di accendini (o di piccole candele di compleanno, quando si è fortunati, come nel caso del duo Bellavista-Cazzaniga) c’è modo di capovolgere letteralmente pregiudizi, teoremi preconfezionati sullo stereotipo sudista/nordista, per accorgersi che non c’è mai separazione netta tra i “territori dell’amore e quelli della libertà”. Più umorali e sentimentali i primi, essenzialmente razionali e illuministici i secondi.

Grazie alla grande bravura degli attori e alla finezza illustrativa di De Crescenzo, appare nei suoi chiaroscuri di luci e ombre la Napoli classica di donne e uomini che tirano la carretta degli affanni quotidiani, dei mille mestieri inventati, come il becchino che vende a rate le casse da morto, o quell’altro che fa il vice del vice del portiere condominiale, con rigorosa divisione dei compiti e delle responsabilità all’interno di questa strana “trinità”, in base ai piani dello stabile e all’esperienza acquisita. Così, il più anziano riscuote le mance durante le grandi festività convocando gli inquilini nel proprio appartamento, anziché andarseli a cercare. O come la consultazione dei santoni locali della smorfia, per farsi dare quel benedetto terno vincente che risolve tutti i problemi quotidiani di chi non ha un conto in banca, ma solo una famiglia numerosa da mantenere. Oppure, il tassista sboccacciato e furbone, che spunta uno sconto dell’80% sulla multa originaria convincendo il vigile della sua bontà di ragionamento sbagliato e tentando fino all’ultimo di farla pagare all’incauta cliente che aveva solo chiesto di “far presto”. Esilarante è la scena che ben illustra la teoria napoletana del semaforo rosso: si può passare facendo bene attenzione, esattamente per come avviene nel caso del verde.

Napoli senza regole, in cui l’unica certezza è la capillare presenza dell’Antistato, per cui tutti si rassegnano in un modo o nell’altro a pagare il pizzo, soprattutto se commercianti. Ed è questa sudditanza arricchita dall’aspetto negativo della fatalità, del non saper prendere in mano il proprio destino e ribellarsi, che fa di Napoli un deserto progressivo industriale e occupazionale. Il professor Bellavista è un sacerdote atipico dell’esorcismo dialettico che, da un lato, nutre lo sciovinismo della superiorità campana nel tirare a campare e, dall’altro, nel saper dichiarare verità scomode e pericolose al piccolo boss di quartiere che va a riscuotere il pizzo imposto a due giovani sposi (di cui una è la figlia incinta di Bellavista) squattrinati e neo-esercenti di un piccolo negozio. Con note assolute di colore, però, come l’esilarante sfogo semidemenziale di Rachelina nei confronti di una lavabiancheria che non ne vuol sapere di obbedire ai suoi comandi. Famiglie allargate che ricomprendono personaggi attempati e “sfessati” del condominio, improbabili allievi del professore pensionato che pontifica sull’universo-mondo. Mentre all’opposto il suocero catatonico in carrozzella si rianima alla sola parola “Milione” (di lire) il cui mancato prestito di uguale importo per il sostegno alle sue mille iniziative fallimentari gli aveva causato un ictus irreversibile. Adatto al pubblico di ogni età.

Aggiornato il 16 gennaio 2019 alle ore 13:08