“Dachra”, l’horror tunisino presentato a Venezia

“E soprattutto non mi aspetto da voi ragazzi nessun lavoro che parli della rivoluzione (tunisina). L’anno scorso ne ho dovuti esaminare venti identici”. Il professore dell’accademia di cinematografia di Tunisi era stato chiaro: nessuna banalità tra le tesi che dovrete presentarmi. E la rivoluzione dei gelsomini negli ultimi anni in questo si era trasformata: un soggetto banale di cui scrivere.

Con queste premesse nasce il primo horror tunisino da esportazione, “Dachra”, di Abdelhamid Bouchnak, presentato a Venezia quest’anno da Celluloid dreams e veicolato a livello comunicativo da Wolf consultant nella settimana della critica. Tre studenti, due giovani e una ragazza, infatti decidono di parlare e di filmare un caso e una storia veri: quello di una ragazza ritrovata anni prima nuda e ferita quasi a morte in mezzo alla strada, senza documenti o altri segni per identificarla, e rivelatasi pazza e aggressiva una volta curata. E così finita in un istituto psichiatrico. I tre studenti, scettici sul soggetto da raccontare e filmare, alla fine trovano un accordo.

Ma la donna del gruppo, la stessa sera viene assalita da incubi dei film di Dario Argento, tipo fare la doccia e vedere l’acqua che diventa sangue, nonché qualcuno, anzi qualcuna visto che si intuiscono le sembianze femminili, che tira minacciosamente la tendina della doccia con un coltello in mano. Ma era un sogno. Il bello, anzi l’horror, doveva ancora venire. Questo era il prequel. O l’antipasto. Il nonno consola la ragazza preda degli incubi e le consiglia di recitare determinati versetti del Corano. Il mostro, anzi il mostriciattolo, visto che si tratta di una esile ragazzina, si chiama Mongia. Ma le sorprese narrative sono tante, tipo fuochi d’artificio. Ad esempio, il terzetto di investigatori cineasti che usa la ragazza come punta di lancia, si imbatte in un direttore di clinica psichiatrica che nega, almeno all’inizio, che sia mai esistito il caso di questa Mongia, definita strega, che attacca le infermiere e le morde. Come in tutti gli horror che si rispettino, l’irrazionale e lo spaventoso viene negato. “Noi ci occupiamo di scienza non di stregoneria”. Ma la paziente strega esiste davvero e per filmarla l’unica da fare è corrompere le guardie dell’ospedale psichiatrico.

Ovviamente, mentre fervono i tentativi di ungere gli infermieri e gli studi notturni sul caso di Mongia, la ragazza del gruppo di studenti comincia a essere vittima di allucinazioni uditive e visive che non mancano mai nei film del genere. Un tuono, un fulmine, sangue che gocciola, facce mostruose che ruggiscono, coltelli branditi e tutto l’armamentario da manuale del film horror. Qualche impulso elettrico di paura e di panico al muscolo cardiaco è garantito. Quanto basta per non annoiarsi. Nelle note di regia Bouchnak confessa di credere nelle storie ancestrali su streghe e sacrifici umani di cui sarebbero piene le cronache criminali del paese. Come se non bastasse il terrorismo islamico, che si è diffuso in loco, dopo la famosa rivoluzione del 2010-2011. Si parla di cimiteri profanati e di sangue di vergini e la satira si mischia con la credenza popolare.

 

Aggiornato il 21 settembre 2018 alle ore 13:46