“Loro 1”: Sorrentino si arruola nell’armata grillina

Dopo averlo visto in anteprima (uscirà domani in centinaia di sale italiane distribuito dalla Universal) vengono in mente soltanto le categorie dello spirito del “servo encomio” e del “codardo oltraggio”.

Con “Loro 1” (e presumibilmente anche con “Loro 2”, nei cinema a metà maggio) il grande regista Paolo Sorrentino sceglie quello che a suo tempo, negli anni Trenta dello scorso secolo, venne definito come “il tradimento dei chierici”. E con esso l’inevitabile arruolamento armi e bagagli nella pretesa “invencible armada” a Cinque Stelle.

Con una pellicola divisa in due parti da un’ora e 35 l’una, sul modello di “Kill Bill” di Quentin Tarantino, ma con uno splatter fatto non di sangue ma di pettegolezzi, o gossip che dir si voglia, da giornale da parrucchiere di periferia. E con una sceneggiatura al gran risparmio, in quanto presa di peso dai vecchi articoli dell’epoca delle escort e delle inchieste baresi su Gianpaolo “Gianpi” Tarantini. Nel film, interpretato da un gigioneggiante Riccardo Scamarcio che passa il tempo a sniffare e a procurare meretrici a ministri, come quello impersonato da Fabrizio Bentivoglio, nonché a discutere del futuro fuori dalla provincia pugliese con la moglie arrivista, “puttana” (come si autodefinisce) e ricattatrice. Il tutto con digressioni sul Mdma, cioè l’ecstasy, la pillola dell’abbraccio, e in genere sulla filosofia del boudoir. Un tentativo abbastanza ingenuo e raffazzonato di stupirci con effetti speciali quando ormai queste cose le conoscono anche i sassi e molte inchieste si sono concluse con il consueto nulla di fatto.

Al netto della prevedibile grande interpretazione di Toni Servillo, per la verità anche lui un po’ gigione, e delle citazioni prese di peso dal libro di Maria Latella “Tendenza Veronica” (nella pellicola la Lario interpretata da Elena Sofia Ricci), questo film spicca per la propria pressoché totale inutilità ontologica. A meno che anche Sorrentino non sia stato arruolato per la maggior gloria di Luigi Di Maio premier. Per carità, va anche visto per curiosità. E si può concedere che, qua e là, la maestria di Sorrentino strappi persino qualche risata e financo qualche cachinno. Ma è routine. Noia. Banalità ideologica per giovani critici cinematografici e per un pubblico di “bocca buona”. Sorrentino abbassa la propria arte fino al limite della propaganda e - benché con un accorto tam tam cinematografico sia prevedibile un discreto incasso - il regista, che è una persona intelligente, capirà presto che a vendere non sarà stato il suo prodotto ma il “brand” Berlusconi. Che anche se demonizzato rimane amato dal grande pubblico. Persino inconsapevolmente da chi oggi per moda crede di odiarlo. È la banalità del male sub speciem farsesca tipica degli adepti del cosiddetto “clan dei Casaleggesi”. Pure Sorrentino sembra esserci cascato.

(*) Trailer ufficiale

 

Aggiornato il 23 aprile 2018 alle ore 19:40