I Nerds al Brancaccino

“N.E.R.D.s”? Un idiota fastidioso (da “nerd”) come i suoi amici? O l’acronimo di una canzone dissacrante e anticonformista (“No one ever really dies”), pro-transgender e pro-immigrazione? No: a quanto pare si tratta di una forma di bruciore di stomaco (“Nonerosive reflux disease”), fastidiosa ma apparentemente innocua. Perfetta per descrivere il mal di vivere della nostra epoca e, soprattutto, per analizzare gli scompensi interni come viscere infiammate di una famiglia apparentemente normale, con mezzo secolo di vita in comune tra genitori e figli.

In realtà, fuori dagli schemi di una messa in scena ordinaria, fino al 15 aprile (ma saranno di nuovo in scena dal 19 al 22 aprile) quattro giovani attori danno luogo al Teatro Brancaccino a uno spettacolo intensamente originale, molto brillante e carico di imprevisti. Li si insegue nella loro archeologia degli affetti come farebbe un tombarolo mentre si introduce nei cunicoli stretti e angusti della Piramide di Cheope, per arrivare alla misteriosa stanza della sepoltura dove le mummie sono avvolte nelle loro bende e protette dal mistero della maledizione per chi ne violi i segreti millenari. Come per gli antichi Egizi, anche qui ci sono persone (semidei?) che indossano copricapi di animali.

Anatre, in particolare, che appaiono e scompaiono come incubi, mettendo in fuga chi invade il loro territorio, ma saltellando via alla decisa reazione del malcapitato. Lui, Robi, il diverso, simbolo di un cuore stressato, allucinato e inebetito dal suo mancato suicidio farmacologico, la cui passione non corrisposta per gli uomini, sedotti nei vespasiani, lo rende un diverso senza speranza né redenzione all’interno della sua famiglia tradizionale. Quattro giovani attori (Tommaso Amadio – Enri/Rita; Riccardo Buffonini – Dani/Laura; Michele Radice – Nico/Luca; Umberto Terruso – Robi/Licia); qualche sedia; un paravento ecologico per nascondere un vespasiano e, poi, un water verde muschio che sporge come una protesi armata da una parete dello stesso colore. Quattro fratelli e un inviluppo di storie intime e segrete che li riguardano, messe clandestinamente in scena in occasione delle nozze d’oro dei loro genitori. Motivo conduttore: una sorta di orazione di fondo, un sermone o inno alla vita vissuta e all’amore, costantemente abortito o interrotto nelle mille prove prima dell’aperitivo e che Robi intende dedicare all’anziana coppia.

Dietro la facciata perbenista, appaiono in scena uomini con la testa d’anatra alla Magritte, cadenzando così gli eventi surreali narrati, in cui la norma è la dissacrazione a sfondo sessuale del diritto di famiglia, laddove l’insidia della bisessualità si annida perversa nella relazione tra moglie e marito. Gli amanti lasciati dall’uno, donne come uomini, diventano amori dell’altro. Dani è dichiaratamente gay, mentre Robi si mimetizza all’interno della sua forma maschile senza contenuti. Il quadro familiare è scolpito ferocemente come un bassorilievo ambiguo e complesso di vuoti e di pieni, dove trionfa volumetricamente la testa di Giano del Doppio androgino (il Femmineo che abita il maschile e viceversa) che diviene arte dal vivo, in cui l’altro sesso con le sue isterie, tenerezze e violenze subite è una voce da castrato e una borsetta di vari colori e fogge, tanti quanti sono i personaggi femminili che entrano di volta in volta in scena, interpretati dallo straordinario gruppo di attori maschili, come ai vecchi tempi, in cui alle donne era proibito fare teatro.

(*) Per informazioni, prenotazioni e biglietti: Teatro Brancaccino

Aggiornato il 16 aprile 2018 alle ore 14:26