Mafia e antimafia, la nuova serie Rai “Il Cacciatore”

Lo dicono loro stessi nelle note di regia che distribuiscono alla stampa: mafia e antimafia sono ormai due universi paralleli che promuovono valori uguali e contrari. E che esaltano mediaticamente eroi e antieroi.

Così a giorni su Raidue vedremo anche “Il Cacciatore”, tratto dal libro e dalla storia vera di Alfonso Sabella, il pubblico ministero che fece per un breve periodo l’assessore alla Legalità al Comune di Roma durante la giunta di Ignazio Marino. La solita epopea in sei puntate dal doppio episodio di uno dei tanti eroi del settore. Uno di quelli che – una volta viste le prime due puntate della serie televisiva – ti fa ricordare quel famoso detto: “Beato il Paese che non ha bisogno di eroi”.

E beato anche il Paese che non ha bisogno di mitizzare la mafia per produrre serie televisive da propinare in prima serata. Il tutto in un immaginario emergenziale perpetuo dove lo Stato di diritto è l’unico assente ingiustificato dalle trame e dalle ricostruzioni storiche.

Nei primi due episodi vengono narrate in parallelo le tragiche vicende di Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito ed ex mafioso Santino Di Matteo, rapito da Giovanni Brusca e Leoluca Bagarella e poi sciolto nell’acido, e l’entrata nel pool antimafia del protagonista che nella serie impersona il magistrato dal cui libro di memorie vengono assai liberamente tratte tutte queste vicende.

Il risultato è che per idolatrare le gesta dell’ennesimo eroe antimafia si idolatra anche la mafia. E si promuove all’estero la solita immagine dell’Italia immortalata anni orsono da un noto magazine tedesco che illustrava in copertina un’inchiesta sulla mafia e il terrorismo brigatista degli anni Settanta con una bella pistola revolver sopra un piatto di spaghetti fumanti.

E però in Italia almeno la mafia di Totò Riina e Bagarella è oggi ridotta ai minimi termini con i due boss più importanti morti in carcere al 41 bis. Ma non importa di quella mitica battaglia, bisognerà continuare a raccontare ai posteri come se si trattasse della guerra di Troia e della fondazione successiva della città di Roma. Peggio per chi non si adatta a questa narrazione. La mafia non va banalizzata e ridimensionata come un fenomeno che c’è sempre stato e che sempre potrà esserci, magari senza lo strapotere che aveva a Chicago negli anni Venti. No, da noi deve essere promosso un immaginario fumettaro fatto di eroi, antieroi e supereroi. Un intero popolo trattato come un adolescente. Che negli ultimi anni, anche grazie a questi espedienti mediatici, si è visto sottrarre sotto il naso lo Stato di diritto e l’agibilità politica. In cambio ha avuto la mafia e l’antimafia spettacolo. Un grande affarone. Con buona pace dei tanti (troppi) che si autoproclamano a ogni piè sospinto “servitori dello Stato”. Quando – a ben vedere – spesso dello Stato, per la propria carriera e per la propria maggior gloria, si sono anche serviti. Questo nel momento che facevano solo il proprio dovere. Niente di più e niente di meno.

Aggiornato il 02 marzo 2018 alle ore 08:01