Inizia con un boogie boogie travolgente il nuovo spettacolo teatrale di Enrico Montesano, “Il Conte Tacchia” che ha debuttato il 21 febbraio scorso al Teatro Sistina di Roma (fino al 25 marzo 2018). La commedia interpretata e diretta dal mattatore romano porta per la prima volta in teatro il celebre personaggio romanesco, Francesco Puricelli, chiamato bonariamente dagli amici “Conte Tacchia” per via dei pezzi di legno che tiene sempre in tasca, le tacchie appunto.

Dopo “Rugantino” e “Il marchese del Grillo”, Montesano chiude una trilogia tornando al suo primo grande amore, la commedia musicale romanesca, e lo fa aiutato da un cast e un corpo di ballo a dir poco eccezionali. Il tutto condito dalle musiche del gran maestro Armando Trovajoli e da una scenografia maestosa e raffinata (ci sono ben 18 cambi di scena). 

Non è la prima volta che Montesano veste i panni del giovane Checco Puricelli. Lo aveva già fatto al cinema nel 1982 sotto l’attenta regia di Sergio Corbucci. Non c’è grande differenza tra il film e la sua matrice teatrale, all’eccezione di una aggiunta stilistica e narrativa all’inizio dello spettacolo (la scenografia si apre nella Roma del dopo guerra per poi tornare come in un flashback nel 1900).

La sceneggiatura, incentrata sul tema della nobiltà e della scalata sociale, trasporta lo spettatore nella Roma antica dei primi del Novecento. Il giovane Checco è un ragazzo di umili origini, figlio del falegname Alvaro Puricelli, che tenta con ogni mezzo di diventare nobile. Per una serie di eventi e equivoci, casuali e non, riesce nell’impresa. Ma la nuova veste nobiliare gli va stretta perché, malgrado entri a far parte del tanto agognato salotto buono della città, deve fare i conti con la cattiveria di un’aristocrazia ormai in decadenza. Per quasi 3 ore, il pubblico è immerso in un’atmosfera magica, fatta di canti, colori e allegria.

Ma si potrebbe immaginare un “Conte Tacchia” in questa epoca moderna, dominata dai selfie e dalla tecnologia always on? Questo slancio verso vette aristocratiche non è un tema nuovo, ma forse quello che differenzia il personaggio di 40 anni fa da quello di oggi è la sua voglia di semplicità, la voglia di affrancarsi da uno stile di vita sicuramente benestante, ma menzognero. Un modo di vivere che moltissimi giovani di oggi sembrano non volere, visto il gran crescere di profili social dove l’apparire è più essenziale dell’essere. 

Montesano ha il merito di aver ridato anima ad un personaggio schietto ma travagliato, diviso tra l’amore sincero e profondo per la bella popolana Fernanda e il desiderio di ascesa sociale che lo rende a tratti meschino e paravento. Un conflitto interno che sembra tener prigioniero il protagonista, ma che poi si libera e sfocia in un epilogo romantico e autentico dove vince il candore dei sentimenti. La forza di questa opera musicale è rappresentata anche dai personaggi - definiti “secondari” che secondari non sono - interpretati da attori di teatro di lungo corso che in scena mettono in risalto ogni dialogo fatto di gag e momenti tragicomici. E questa vitalità su scena viene trasmessa con passione attraverso le canzoni romanesche antiche. Prima fra tutte ’N sai che pacchia, del Trovajoli che chiude lo spettacolo e che viene accompagnato dai cori del pubblico e da gioiosi battiti di mani in sala. Insomma, una bella scommessa vinta da Montesano e dal teatro italiano.

(*) Per info, prenotazioni e biglietti: Teatro Sistina

Aggiornato il 18 giugno 2018 alle ore 13:43