“La Paranza dei Bambini” al Piccolo Eliseo

“Un mare di m…”. Così l’Arcangelo, boss decaduto e braccato della vecchia camorra napoletana, commenta con il suo potenziale e giovane successore, Nicola ‘o Marajà, il mare di fango materiale e morale che travolge la Napoli di questo XXI secolo.

Il Piccolo Eliseo ospita fino al 17 dicembre una riduzione teatrale del best-seller “La Paranza dei Bambini” di Roberto Saviano, per la regia di Mario Gelardi e la Compagnia del Nuovo Teatro Sanità, spazio neutro in territori di guerra quotidiana, minuta e diffusa, in cui tutti vogliono qualcosa per la quale sono disposti a sacrificare la propria vita e quella altrui. E tutte le età sono buone per iniziare la scuola malavitosa, soprattutto da parte di bande giovanili sempre più… “bambine”, come quei pesciolini di scarto che si usano a Napoli e altrove per la frittura da asporto, che si può centellinare mentre si cammina (o si spara) pescando all’interno di grandi cartocci di cartone leggero.

La Paranza del dramma è costituita da dieci ragazzi, alcuni minorenni, studenti medi nullafacenti, figli di boss senza scrupoli e balordi di strada. Tutti, senza eccezione, miscelati in un unico contenitore immaginario, luogo mentale e fisico di incontro con cui si arano le strade del quartiere Forcella in cerca di prede, e con la voglia assoluta di scalare a qualunque costo le vette criminali. Perché loro come gli adulti intendono conquistare potere e rispetto, rendendosi gli autonomi e incontrastati sovrani di una realtà degradata. Inutile chiedersi quale sia il senso di conquistare una società in completo disfacimento e rovina: non è dato, infatti, ai protagonisti di vederla, perché nati e vissuti in quel clima di violenza e sopraffazione, in cui il delitto (lo spaccio di droga, prima al minuto e poi all’ingrosso; la minaccia; la violenza fisica; la ritorsione e il ricatto) è cosa “normale”, come indossare il “ferro” con la fondina ascellare che mantiene la canna orizzontale con il calcio rivolto all’interno, pronto a essere impugnato con rapidità per battere sul tempo l’avversario. Un Far West che nemmeno più la grande criminalità riesce a controllare, perché le bande giovanili sono autoreferenziali.

E se davvero, come predica l’Arcangelo, manca la prova provata dell’essere un criminale duro e puro, come l’omicidio, allora è bene non farsi mancare nulla. Meglio se il sacrificio si colora del gesto di Abramo, che si rivolge contro la sua stessa creatura per onorare l’impegno con Dio, dando così il massimo di solennità e risalto all’ingresso nella camurria, per ottenere quel feudo di malavita concesso dal boss di turno al capo della Paranza in cambio di un assassinio. Ma sangue chiama sangue e, presto, l’implosione del gruppo non risparmierà capi e gregari, perché la violenza e l’ambizione senza freni, che non riconosce né regole né regolatori al di fuori del giuramento d’onore dei membri della banda, è un drago malato che brucia nelle proprie fiamme. Affiora sempre fortissimo il sentimento di fratellanza, con le tirate di coca comunitarie, la suddivisione in parti uguali dei compensi derivati dallo spaccio e dalle altre attività malavitose, i rituali dei gesti e delle parole d’ordine, in assenza di qualsiasi ragionamento o dialettica, banditi ab origine. Senza nessuna abitudine, ormai, al confronto con gli adulti, i giovani soprattutto nelle realtà più degradate si racchiudono nella vergine di ferro dell’autismo di gruppo, creando e nutrendosi di “verità interne” totalmente scollegate dal senso autentico della vita. Di che riflettere seriamente, insomma.

(*) Per info, prenotazioni e biglietti: Piccolo Eliseo

Aggiornato il 04 dicembre 2017 alle ore 10:46