Ritornare a parlare di Saddam Hussein per comprendere la contemporaneità e le sfide dell’Iraq di oggi. Nella sua ultima pubblicazione, l’Ambasciatore Domenico Vecchioni analizza la vita, la storia e la megalomania del dittatore iracheno.

“Sangue e terrore a Baghdad” è il titolo della pubblicazione, edita dalla Casa Editrice “Greco&Greco”, attraverso la quale Vecchioni descrive la repressione dei musulmani sciiti, il tentato genocidio dei curdi/iracheni e la politica particolarmente ambigua del dittatore. Con questo libro si vuole mostrare la dittatura del Rais in tutta la sua crudeltà e cinismo, ricordando le sofferenze e i lutti subiti dal popolo iracheno. Ma, conoscere anche l’uomo Saddam, nelle sue vesti di marito, padre, amante e capo clan.

Di “Sangue e terrore a Baghdad”, con Domenico Vecchioni e l’Ambasciatore Maurizio Melani, vice presidente del Circolo di Studi Diplomatici, se ne parlerà sabato 9 dicembre presso il Roma Convention Center – La Nuvola, durante la Fiera “Più Libri, più Liberi”. Molti gli episodi della storia contemporanea che hanno reso Saddam Hussein protagonista di conflitti e crudeltà. Il 22 settembre del 1980, dietro sua forte pressione politica, esplode la guerra contro l’Iran. Il conflitto è aspro e cruento e causerà, durante i quindici anni della sua durata, migliaia di morti. Tuttavia, nessuna della due parti ne uscirà vincitrice.

Dopo questo duro contraccolpo che piega la popolazione irachena, non cessa la sete di potere che Saddam Hussein cova dentro, da lungo tempo. Infatti, appena due anni dopo, con una mossa a sorpresa e senza nessuna ragione invade il Kuwait. L’azione, anche per via della grande importanza strategica ed economica del Kuwait, ha una forte ripercussione mondiale; allerta tutto l’Occidente, Israele e gli Stati Uniti e preoccupa fortemente i vicini Stati arabi, già pressati da una situazione geopolitica instabile. Dopo numerose minacce, puntualmente ignorate da parte del Rais, un contingente alleato, a cui aderiscono più di trenta Paesi, interviene il 17 gennaio 1991 innescando la “Guerra del Golfo”. L’Iraq rapidamente si trova costretto al ritiro e subisce una pesante sconfitta. Nonostante ciò, il dittatore riesce a mantenersi saldamente al potere. Quella di Saddam è una storia intrecciata con l’Occidente, l’attualità sciita e sunnita e il massacro del popolo curdo, come dimenticare la cittadina di Halabja che nel 1988 fu teatro degli attacchi con il gas ordinati da Saddam Hussein. L’ambiguità del regime, come tutti ricorderanno, genera una nuova guerra con il nuovo millennio. Dopo la caduta di Bagdad, il 9 aprile 2003, Saddam fugge e di lui non si hanno più notizie, se non alcuni messaggi audio registrati. Il giorno 1 maggio George W. Bush proclama finita la guerra con l’Iraq. I figli Uday e Qusay vengono uccisi in uno scontro a fuoco il 22 luglio. Ma la caccia a Saddam Hussein si conclude solo il 13 dicembre 2003 in modo poco glorioso: viene catturato in un buco in una fattoria vicino a Tikrit, sua città natale, con la barba lunga, stanco e demoralizzato, senza opporre alcuna resistenza. L’esecuzione per impiccagione chiude la vicenda politica e personale dell’uomo che per 24 anni ha dominato l’Iraq con una sanguinaria dittatura. Capo carismatico, follia, politica che non ha mai disdegnato l’uso della violenza per raggiungere i propri fini, è stato presidente dal 1979 al 2003, anno della sua cattura da parte dei militari americani. Anche i suoi ultimi giorni furono oggetto di scontro politico.

Molte le verità che si aspettava di conoscere ed entusiasmante fu la campagna, lanciata da Marco Pannella, denominata “Nessuno tocchi Saddam” che poggiava le proprie ragioni sulla convinzione che il processo nei confronti di Saddam Hussein, poiché momento decisivo per stabilire i crimini commessi dal vecchio regime ma anche per impegnare l’Iraq ai principi di responsabilità e Stato di diritto, doveva essere condotto nel pieno rispetto di tutte le garanzie internazionalmente riconosciute; un processo giusto e imparziale, evitando di fornire pretesti a coloro i quali volevano screditare l’azione giudiziaria presentandola come la giustizia dei vincitori sui vinti o la vendetta delle vittime nei confronti del loro carnefice. Finirà diversamente, anche per l’Iraq.

Aggiornato il 01 dicembre 2017 alle ore 16:50