Medea al Quirino

Oh mia Dea, Medea! Sei tu l’orrendo femmineo, l’idea di Morte, oppure esprimi con le tue gesta la pura follia asessuata, né femminista, né maschilista, ma solo desolatamente Follia? Ecco, tutte queste domande e, forse, nessuna risposta vi verrà dalla visione della rappresentazione del dramma di Euripide (così come storicamente è stato messo in scena da Luca Ronconi e ripreso oggi da Daniele Salvo) al Teatro Quirino di Roma, fino al 5 novembre. Perché affidare a un omone massiccio (Franco Branciaroli) il ruolo di Medea? Forse perché l’idea stessa del genocidio, l’antifemmineo e l’antimaterno per eccellenza è stato da sempre prerogativa assoluta della ferocia al maschile, senza alcuna eccezione nota? Perché abbiamo visto nelle migliaia di scorribande delle soldatesche maschie di ogni epoca, razza e risma, fare a pezzi donne incinte, bambini piccolissimi, vecchi indifesi, tutto ciò cioè che trasudava innocenza e l’immagine della non violenza. Facili da annientare senza alcun rischio da correre. Ma Medea-Medusa è anche la figlia di Circe: cioè, una strega anche lei, esperta di veleni e di filtri d’amore. Con i primi uccide i nemici, con i secondi conquista l’oggetto del suo innamoramento.

Ma, Medea-Odissea è l’altro volto dell’Errante, colui che è senza terra. Brucia gli approdi affettivi alle sue spalle, con il tradimento e il fratricidio, pur di farsi sposare da Giasone, seguendolo nella terra straniera di Corinto. Ma, poiché l’arrivismo è un male solo umano che nasce con le prime civiltà, va a finire che lo sposo diventa ben presto fedifrago, ripudia la strega e si fa concedere la mano della principessa da suo padre, il Re di Corinto. Così, tutto ruota sul letto abbandonato, onta indelebile mondabile solo con la morte del traditore e, possibilmente, della sua nuova concubina. E sono proprio le coreute a fare l’onda, perfette e ben addestrate nei loro ruoli ancillari (appaiono addirittura in scena con dei vecchi aspirapolveri), seguendo le correnti di tempesta che la Virago Branciroli, dalla voce possente e tonante, modulata in decine di modalità ora farsesche, ora oniriche di voci alterate dell’Ade prossima ventura, scatena tutto intorno a sé come un Re Mida diabolico, il cui oro contiene veleni ferocemente corrosivi e le cui vesti bruciano a contatto con la pelle altrui. Così muore la principessa futura sposa di Giasone e il padre di lei che tenta un estremo conforto della figlia corrosa dalle fiamme avvelenate.

Loro, le coreute, che cercano disperatamente di costruire attorno a Medea un’aurea di normalità, che fanno politica di militanti femministe nelle atmosfere chiuse e blindate del gineceo, mai osando esporre la loro ribellione carbonara ai maschi padroni, che ne possiedono il corpo e ne incamerano le doti. C’è la coreuta che vaga con un libro mastro, e un’altra che si accarezza dolcemente il ventre impregnato. Il netto contrasto tra ciò che nasce e ciò che sta per morire pur essendo appena sbocciato, come i due figli piccoli di Medea. Poi una scala di legno con quattro rampe, da cui calano come lupi del branco le guardie del re e Creonte stesso, vestiti in abiti alla Blues Brothers: correnti ascensionali e discendenti che fanno il verso a quelle vocali e gestuali delle coreute in basso, per indicare l’evento subitaneo, il precipitarsi degli eventi e scandire la cronologia degli accadimenti. L’Olocausto, l’infanticidio, la devastazione dell’Ira e della Vendetta, correnti impetuose di stati d’animo irrefrenabili, senza intelligenza e sature di passioni avvelenate.

(*) Per info e biglietti: Teatro Quirino

Aggiornato il 02 novembre 2017 alle ore 22:03