“Glory – Non c’è tempo per gli onesti”

“Glory - Non c’è tempo per gli onesti”. L’omonimo film bulgaro new-generation dei fratelli Kristina Grozeva e Petar Valchanov, vanta come attrice protagonista una brava Margita Gosheva che nel film interpreta Julia, la responsabile delle relazioni esterne del ministero dei Trasporti bulgaro e diretta collaboratrice del ministro. L’opera, con il suo istinto e le sue atmosfere anti-glamour, pur consustanziale al culto delle cineteche da parte degli intenditori, si concede indifesa al Moloch delle multisale, sperimentando la sua durata di vita e il gradimento del grande pubblico al Giulio Cesare di Roma, dove sarà in programmazione per una sola settimana, a partire dal 21 settembre. La trama origina da un fatto vero di cronaca, ovvero il ritrovamento di un’ingente quantità di denaro lungo i binari di una linea ferroviaria periferica a opera di Zarko, un modestissimo addetto ai lavori per la manutenzione dei binari onesto e sfortunato in un mondo di ladri e opportunisti.

Da questo nucleo di vita reale, si sviluppa una sorta di danza macabra, un rituale antropofago di pura fantasia, che vede al centro gli “animal spirits” della comunicazione cinica e spietata, al servizio del potere e dei potenti, per cui lo sprovveduto, ovvero il ferroviere eroe per caso, Zarko, non è altro che un’insignificante e sciocca pedina che sta come un vaso di fiori appassiti nella composizione di una natura morta che non lo riguarda minimamente, affollata com’è di inutili comparse. Lui è come un’effigie, un santino senza ex voto, un minuscolo ritratto all’interno di un arazzo a parete intera, disegnato fin nei minimi dettagli, in base a una scenografia accorta e accurata. Julia, vera maîtresse di scena, attrezza la sala della premiazione per la sua vittima come il salotto di un bordello, perché si offra impudico alle voglie e agli sguardi dei molti milioni di suoi voyeur televisivi, accaniti consumatori di format che sono partoriti da sartorie invisibili, lontane dai loro occhi e da sguardi indiscreti, critici e indagatori.

Poi, anche gli alfieri antagonisti che militano nello pseudo giornalismo d’inchiesta si rivelano appartenere, in realtà, allo stesso, identico Leviatano mediatico che, nel loro caso, si nutre degli scandali politici e dei suoi sospetti. Questo tipo di giornalismo, al pari di quello di regime, arriva a logorare e degradare, con identico e forse più mortificante cinismo, i propri “testimonial”. Ed è, in fondo, un dettaglio della scenografia artificiale, voluta da Julia per raddrizzare le sorti pubbliche di un ministro dei Trasporti particolarmente chiacchierato, a far ruotare in senso opposto a quello pianificato, tutto il meccanismo della post-rappresentazione che, in teoria, era dedicato alla fecondazione in vitro della donna e moglie Julia, una Pr attempata che avrebbe voluto congelare gli embrioni per non avere ingombri nel suo brillante percorso di carriera. Il granello nell’ingranaggio sarà un vecchio orologio dai meccanismi precisi e implacabili, un “Glory” dedicato a Zarko dal padre e poi rimosso dal polso balbuziente del suo proprietario, per far posto al “premio”, un cronometro digitale farlocco e impreciso.

Il suo ritrovamento diventerà un tormento per Julia e un’ossessione per Zarko, che alleva conigli nell’orto malcurato e non si accorge della miseria della casa in cui vive scapolo ma, da buon ferroviere, coltiva il culto della puntualità. Come va a finire? In sintesi: il buono diviene schizofrenico e il cinico perde la testa.

Aggiornato il 22 settembre 2017 alle ore 21:31