La filosofia del giovane Marx nel libro di Vander

Con il crollo del comunismo era plausibile pensare ad una stasi dell’enorme letteratura dedicata al pensiero di Karl Marx, sviluppatasi dalla fine dell’Ottocento a tutto il Novecento. Invece, oggi si assiste ad un’autentica e significativa “Marx renaissance”. Ciò evidenzia il modo inadeguato di come Marx è stato letto nel passato, in circostanze storiche fortemente connotate dalla passione politica. Le più svariate esigenze di partito hanno troppo condizionato, spesso con polemiche infuocate, gli studi sul pensiero del fondatore del socialismo scientifico.

È sufficiente pensare, solo per citare una delle contrapposizioni più note, allo scontro tra Kautsky e Lenin, che è all’origine della divaricazione tra socialismo riformista e comunismo. Oggi quelle controversie sono decisamente lontane e, quindi, è possibile accostarsi al pensiero di Marx “sine ira et studio”, dando così vita ad un nuova fase interpretativa.

Fabio Vander brillante allievo di Gennaro Sasso, con “Critica e sistema. La filosofia del giovane Marx” (manifestolibri 2017, pagine 368, euro 28), da alcuni giorni nelle librerie, s’inserisce in questo nuovo corso. Quella di Vander è una lettura assai analitica degli scritti del giovane Marx fino al Manifesto del partito comunista (1848), che si sviluppa avendo come riferimento l’ampio dibattito teorico nell’arco di quasi centotrent’anni, da Labriola a Zizek, che costituisce la seconda parte del suo lavoro. L’attenzione dell’autore è volta a una lettura che si colloca in una sistemazione concettuale strettamente metafisica. La sua analisi si concentra sulla contrapposizione dialettica-ontologia: dal suo punto di vista è una questione centrale nel giovane Marx, che permane costantemente in tutta la fase successiva e segna, “malgré” Marx, anche il motivo dell’esito totalitario del pensiero marxista.

In sostanza, secondo Vander in Marx è irrisolto il rapporto tra divenire ed essere, sicché al termine dello svolgimento dialettico, caratterizzato dalla politica e dalla rivoluzione, si arriva alla realizzazione dell’essere che dopo il crollo del capitalismo si concretizza nell’avvento del comunismo. Un desolante essere perfettissimo di stampo parmenideo, assolutamente immobile che spiega l’essenza totalitaria del comunismo. Vander approda a queste conclusioni perché inquadra un Marx costretto in una linea tutta metafisica e di stampo hegeliano, che ha caratterizzato, tra le tante, anche la lettura che fece Lenin.

Dunque, in modo assai originale e attraverso la descrizione di un percorso logico assai coerente, il punto di vista di Vander coincide con quello dei liberali e dai socialisti riformisti nella loro critica al marxismo nella versione leninista. Insomma, il percorso analizzato da Vander è quello caratterizzato dall’errore di ridurre tutto a filosofia, per cui, venendo meno le distinzioni all’interno dell’essere, si cade, per usare il termine di Benedetto Croce, nel “filosofismo”. Ma di Marx esiste anche la lettura antimetafisica e anti-leninista, che si è sviluppata da Kautsky a Saragat (raffinato studioso marxista, prima di dedicarsi totalmente alla politica) ed è auspicabile che Vander possa occuparsi di questo secondo orientamento in un suo prossimo studio.

Aggiornato il 22 giugno 2017 alle ore 22:52